sabato 3 aprile 2010

Lo stupa di Sanchi





Quando sono in viaggio mi piace, dove è possibile, pregare in tutti i templi, buddisti, induisti, cattolici, mussulmani. Non faccio distinzione di architetture. Devo però ricordare che il luogo più carico di misticismo che ho visitato rimane lo Stupa di Sanchi, vicino a Bhopal. Fu fatto costruire dall’imperatore Ashoka più duemila anni fa, in cima a una collina, e completato qualche secolo più tardi. Sono rimasti intatti anche altri piccoli stupa e resti di monasteri.


Lo stupa principale, un’enorme semisfera poggiata sul terreno, dove vengono conservate le reliquie del Buddha, ha quattro porte rivolte verso i quattro punti cardinali, ogni porta ha stupendi bassorilievi. E il sole cade, entra ed esce nelle porte, secondo se è l’alba o il tramonto. È un posto di una carica spirituale incredibile, frequentato soltanto da devoti buddisti che compiono, come raccomanda la tradizione, tre giri intorno allo Stupa per caricarsi di energia cosmica. È fuori dagli itinerari turistici e forse per questo ha conservato intatto il suo fascino.


Lo Stupa di Sanchi è nel cuore dell’India, è l’ombelico dell’India. Il tempio è grandioso e povero nello stesso tempo, ha soltanto quattro porte scolpite, e attorno alberi e panchine. È un posto magico, veramente magico. Quando sono andata la prima volta a Sanchi era anche il mio primo viaggio in India. Ero malata, uscivo da una lunga e dolorosa malattia, avevo il cuore aperto, forse perché stavo vivendo un’intensa storia d’amore, ed ho avuto un’esperienza che potrei definire di espansione di coscienza. Mi sentivo così felice, parte di un Tutto. Una magia, questo mondo, una molecola dell’universo. Ho fatto tre giri attorno al tempio, come raccomanda la tradizione e come vedevo fare ai devoti, e mi sono sentita subito ricaricata di energia vitale. Avevo barcollato fino al giorno prima, ero così debole poi, improvvisamente, l’energia cosmica tornava a fluire dentro di me, mi donava tono e vitalità. Incredibile! Non ero una buddista, ma amavo e amo moltissimo la figura del Buddha, e aveva funzionato.


Ma quando ci sono tornata dopo dieci anni, nel 1990, — perché ho voluto rivedere quel tempio che mi aveva così colpito la prima volta — non mi ha dato le stesse emozioni. La mia storia d’amore era finita, il mio cuore si era chiuso, ormai di pietra, incapace di amare, e non ho sentito più niente, né l’espansione di coscienza, né questo sentirsi parte di un Tutto, né l’energia cosmica che entrava dentro, filtrava e mi ricaricava. Ho capito che se non si è pronti dentro le cose non accadono.


Per arrivare a Sanchi bisogna passare per Bophal, città dallo stile occidentale, almeno nella parte nuova, con un bel lago, tristemente nota per l’incidente dell’Union Carbide. Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1984 quaranta tonnellate di gas uscirono dalla fabbrica uccidendo subito 4000 persone e nei mesi successivi altre ventimila. Il veleno immesso nell’aria ( per venti chilometri quadrati) e quello che ha contaminato le falde acquifere produce ancora oggi danni gravissimi alla popolazione.


E dopo ben 26 anni dalla tragedia è arrivata la sentenza beffa: la Corte Indiana ha condannato a due anni di carcere i sette manager indiani, colpevoli di semplice "negligenza" mentre l’ex proprietario della fabbrica (ora della Daw Chemicals) vive felice e impunito negli Stati uniti. I sopravvissuti non sono mai stati risarciti adeguatamente dalla multinazionale e non è stata mai bonificata l’area. Il simulacro della fabbrica è ancora lì a testimoniare la tragedia. Forse per dimenticare tutto l’orrore vissuto, la città ha recuperato un aspetto piacevole. Il museo di Bhopal ha uno stile architettonico moderno: all’interno ci sono un centro di ceramica, una sezione dedicata alla cultura popolare e un’ esposizione di sculture e pitture d’avanguardia.


Ma il motivo per cui la ricordo è un altro: il suo parco zoologico. Tra gli animali e i visitatori c’era un enorme fossato, recinzioni varie. Feci un breve giro lungo la strada che costeggiava il parco. Non vidi elefanti ( che d’altra parte avevo ammirato a Sri Lanka correre lungo una foresta) e nemmeno leoni o pantere, ma una cosa davvero insolita: un enorme orso bianco piangeva disperatamente seduto per terra sulla collina di fronte. Sono rimasta a guardarlo per un po’ chiedendomi che cosa lo facesse soffrire tanto, i suoi singhiozzi erano così strazianti, da sembrare davvero il pianto di un essere umano.

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