sabato 21 febbraio 2015

Coscienza e consapevolezza


La coscienza si basa su due funzioni: la consapevolezza e la  conservazione dei frutti dell’esperienza (la memoria). La coscienza come deposito dell’esperienza supera di molto la coscienza come consapevolezza. Mentre  la seconda è  momentanea e più o meno limitata ad un oggetto, la prima è universale e non è influenzata dal tempo. Nella coscienza profonda o conoscenza-deposito  vengono conservate non soltanto le esperienze della vita attuale ma anche quelle dei nostri antenati, procedendo a ritroso nell’infinità del tempo e dello spazio. Questa è la coscienza universale. 

La coscienza è un flusso vivo, non può essere catturata nell’angusto ricettacolo dell’ego, perché la sua natura è quella del movimento, del fluire; e flusso significa continuità nonché la relazione fra due livelli o due poli.

La coscienza superiore è il prodotto delle più ampie serie di  esperienze: l’ampiezza fra i poli dell’universalità e dell’individualità. 

Quando l’individualità perde così la sua relazione conscia con l’universalità e cerca di diventare un fine in se stessa aggrappandosi all’esistenza momentanea, si crea l’illusione di un ego separato e immutabile, il flusso è arrestato e inizia la stasi. Il rimedio non è la soppressione dell’individualità ma la comprensione del fatto che l’individualità non è lo stato dell’ego e che il cambiamento, che è uno stato naturale e necessario della vita, non è arbitrario o senza significato, ma procede secondo una legge inerente e universale. 

La soppressione dell’individualità può condurre soltanto a uno stato di completa indifferenza e dissoluzione, che può essere  una liberazione dalla sofferenza, ma in modo puramente negativo, perché ci priva della suprema esperienza a cui sembra puntare il processo di individuazione: l’esperienza della perfetta  illuminazione o buddhità  in  cui si realizza l’universalità del nostro essere. 

(Da "La via delle nuvole bianche"  di Anagarika Govinda edito da Ubaldini)

Meditazione buddhista



Se il mondo  viene sperimentato come samsara o come nirvana dipende soltanto da noi, dal nostro sviluppo spirituale. 

La Meditazione buddhista  non è una regressione nell’inconscio o nel passato, ma un processo di trasformazione durante il  quale diventiamo coscienti del presente, degli infiniti poteri della mente, allo scopo di  diventare padroni del nostro destino, coltivando quelle qualità che conducono alla realizzazione della nostra natura eterna, all’illuminazione. Perciò invece di contemplare un passato che non possiamo cambiare e sul quale non possiamo esercitare  alcuna influenza, la meditazione serve a deporre i semi della liberazione finale e a costruire già adesso il corpo della futura perfezione secondo l’immagine dei nostri ideali più alti. 

Il Tulku è un  essere umano che ha realizzato un’idea divina al punto da diventarne l’incarnazione vivente. 
  
Mentre l’uomo comune, cioè  non allenato, è sorpreso e sopraffatto dalla  morte, coloro che hanno assunto il controllo del corpo e della mente sono in grado di ritirarsi dal corpo quando lo vogliono, senza subire le sofferenze di una lotta con la morte fisica; di fatto senza perdere il controllo del corpo neanche in tale momento decisivo. 

Dobbiamo familiarizzare con le forse oscure (morte). Esse hanno potere su di noi finchè le temiamo. Accettarle come una parte necessaria della realtà,  ci insegna a non diventare attaccati a nessuna particolare forma di apparenza e ci libera dalla schiavitù del corpo. 



(da"La via delle nuvole bianche" di Lama Anagarika Govinda edito da Ubaldini)