martedì 23 novembre 2010

Modelli d’impegno

I monaci, i mistici, i religiosi, invece di chiudersi in convento o scegliere una grotta dove meditare, dovrebbero mescolarsi tra la folla per portare la buona novella, come fece il Cristo. Il Cristo, infatti, non si è nascosto nelle caverne ma è entrato nelle case, si è seduto a tavola con i poveri. E’ un mio auspicio. Nel terzo millennio le donne e gli uomini spirituali dovrebbero vivere con gli altri e per gli altri. La società ha bisogno di loro, la terra ha bisogno di loro, se non vogliamo che il nostro pianeta si avvii verso l’autodistruzione.


Per questo motivo amo molto la figura del bodhisattva. Non ci si può salvare se non salvando anche gli altri. Siamo anelli di un’unica catena. Vedo gli eremi destinati a pochi, anche se aperti a tutti, per lunghi periodi di formazione o per brevi periodi di ricarica spirituale. La battaglia è nella vita, in questa vita insanguinata di tutti i giorni.


Le figure positive che ammiro sono l’Abbe Pierre, suor Emmanuelle, Madre Teresa di Calcutta, ora beata, premio Nobel per la pace. L’Abbé Pierre durante l’ultima guerra ha fatto la Resistenza, si è battuto per il suo popolo, si è battuto anche politicamente, come deputato del Parlamento francese, per dare ai poveri quel minimo necessario, indispensabile di cui avevano bisogno. Ha fondato la comunità Emmaus, centro di raccolta per i diseredati della terra. Suor Emmanuelle ha lasciato il comodo letto del convento per vivere povera tra i poveri, straccivendola tra gli straccivendoli del Cairo, cercando di ridare loro dignità umana, raccogliendo fondi per costruire loro un tetto. Madre Teresa è troppo nota perché se ne debba parlare. Non ha risparmiato energie per lavorare per gli altri. Durante un mio soggiorno a Camaldoli ho conosciuto una suora medico che viveva e lavorava in ospedale. Questi sono i religiosi ideali, i santi di oggi.


Possono essere di esempio nei posti lavoro dove, in genere, imperano arroganza, violenza, maleducazione. Il mondo è corrotto, malato. Forse la mia è una visione pessimistica. Abbiamo inquinato i mari, l’aria che respiriamo, i cibi che mangiamo, abbiamo inquinato i rapporti umani, tutto per la legge aberrante del profitto. La cattiva pubblicità nelle varie reti televisive incide sulle giovani menti. Negli Stati Uniti, ma anche in Europa, la violenza e il sangue scorrono a fiumi nei film e telefilm. Una ricerca di alcuni anni fa dell’università di Los Angeles ha stabilito che un bambino americano, prima ancora di finire le scuole elementari, ha visto in televisione più di ottomila omicidi e centomila atti di violenza. Quale generazione stiamo allevando? Di mostri?

domenica 21 novembre 2010

Il mito della verginità

Il mito della verginità! Un mito maschile, non certo femminile,: un tempo l’uomo poteva rifiutare la moglie se il giorno del matrimonio scopriva che non era più vergine. Maria Goretti, uccisa il 5 luglio del 1902 con 14 colpi di punteruolo da un ventenne, Alessandro Serenelli, santificata perché martire, è diventata per la Chiesa il simbolo della purezza, un esempio per tutte le donne. Aveva 11 anni, le cronache dell'epoca la descrivono magra, denutrita, analfabeta. Era soltanto una bambina terrorizzata di essere uccisa, come pensa qualcuno, oppure era realmente consapevole della verginità come bene irrinunciabile?


E la verginità come bene irrinunciabile è quello che ripetevano continuamente le suore che gestivano la scuola che frequentavo, per volere di mio padre. Tanto che un giorno temetti di averla persa perché un bambino mi aveva soltanto sfiorato. Ricordo la sofferenza e l’umiliazione; nella mia mente infantile, mi disperavo per qualcosa che non sapevo nemmeno cosa fosse. Mi sentivo schiacciata dal senso di colpa e di inutilità. Tanto da desiderare di morire. Ma anche quello era peccato. Così, non mi rimase che convivere con la mia pena, finchè non fui abbastanza grande da capire che la verginità non può essere un mito, al massimo una scelta.


Nella società attuale la parola verginità è quasi scomparsa dal vocabolario degli adolescenti. Se qualcuno chiedesse a una ragazza:” Sei vergine?” Risponderebbe quasi sicuramente:”No, sono del segno dello scorpione”. Vergine non è chi non ha mai avuto rapporti sessuali, e magari pratica un petting spinto; vergine è colui o colei che ha la mente pura, aperta, tollerante.

venerdì 19 novembre 2010

La castità

In tutte le grandi religioni per i sacerdoti è previsto il voto di castità. Per chi sceglie la via spirituale dovrebbe esserci il superamento della sessualità, anche se nel Cantico dei Cantici si parla dell’ amore fisico con bellissime parole. Un monaco può amare un altro monaco o può amare una persona del mondo, ma solo castamente. A proposito delle nozze mistiche della Beata Vergine, troverei assolutamente normale l’idea che Maria sia stata realmente la sposa di Giuseppe e possa aver concepito Gesù come una donna normale. Credo che questa tesi non trovi grandi opposizioni tra i teologi come padre Haering, che ritiene meschino dare tanta importanza al miracolo biologico. E lo stesso cardinale Ratzinger, prima di diventare pontefice, aveva sostenuto che la “dottrina che afferma la divinità di Gesù non verrebbe minimamente inficiata quand’anche Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano”.


La castità per un monaco è un dovere, per un laico una scelta. Ha più meriti il laico perché ha più tentazioni, più sollecitazioni? Lo scopo di chi sceglie il cammino spirituale dovrebbe essere quello di spiritualizzare il corpo con la preghiera e con la meditazione per arrivare ad amare tutti come compartecipi dello stesso organismo divino. Dall’amore possessivo all’amore universale. Ma l’amore universale non passa attraverso l’amore umano?


La vita monacale forse andrà scomparendo nel terzo millennio. Si può diventare santi, yoghi anche facendo il padre di famiglia, come racconta Paramahansa Yogananda nella sua autobiografia, portando ad esempio le vite di Sri Yukteswar e Lahiri Mahasaya. In India, quando si è esaurito il ruolo di genitori e si è arrivati alle soglie della vecchiaia, si può scegliere di dedicarsi unicamente all’ascesi. Swami Sharananda Giri, sposo, padre, soldato, ad un certo punto della sua vita ha scelto la vita monastica ed è stato per molti anni responsabile dell’ashram della YSS–SRF di Yogananda a Dwarahat sull’Himalaya. Di lui, che ho avuto la gioia di conoscere, ho parlato diffusamente in molti post precedenti.

sabato 13 novembre 2010

La comunione: un’eccezione per Berlusconi

Per decenni suore e preti hanno educato le giovani generazioni su un concetto base: il corpo racchiude ogni male e, per questo, va punito, castigato, represso, controllato. Se le spalle degli alunni erano curve non era per colpa della scoliosi ma dei tanti peccati commessi. E’ stata colpevolizzata una intera generazione di fanciulli e fanciulle, che sono cresciuti e diventati adulti con un senso di schifo nei confronti del proprio corpo e, di conseguenza, con un atteggiamento nefasto nei confronti della sessualità. Le conseguenze: frigidità, impotenza, difficoltà a relazionarsi con gli altri, tutti problemi che hanno rovinato non pochi rapporti familiari.


E la Chiesa considera ancora prioritario determinare come, dove e quando una coppia possa avere rapporti sessuali. I giovani cattolici non seguono più norme così rigide. Hanno rapporti prematrimoniali, crescono figli, anche prima di ratificare l’unione in Chiesa. Continuano ad andare a messa ma non possono accedere al sacramento della comunione; lo stesso divieto vale per i separati e per i divorziati, che si sono uniti ad un'altra persona o si sono risposati solo civilmente. Una regola, però, che non vale per il nostro presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, pluridivorziato, che è stato fotografato mentre riceve la comunione. Perché questa eccezione? La vita del premier non è certo improntata a povertà, castità e riservatezza. Fare un’eccezione solo per lui rivela uno dei tanti peccati della Chiesa: preferire i potenti ai poveri cristi. In ogni latitudine, nel corso dei secoli, la Chiesa si è schierata con il più forte di turno, anche se questo spesso voleva dire stare accanto al più corrotto e violento.


Ci sono invece ferventi cattolici che si sono risposati che non possono accedere ai sacramenti. Una rigidità che sta provocando un lento e inesorabile allontanamento delle nuove generazioni dalla pratica religiosa. Ha ancora senso oggi essere così rigidi, quando continuano ad occupare le cronache dei giornali e delle televisioni di tutto il mondo gli scandali dei preti pedofili, negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania, in Italia?


martedì 9 novembre 2010

Una sola cosa con l’Assoluto


Vorrei commentare questo passo della Bhagavad Gita: “Per colui che vede me dappertutto e vede tutto in me, non mi perde mai di vista, né io mai lo perderò di vista”. In pratica noi siamo una sola cosa con il divino che è in noi e diventiamo una sola cosa con l’energia cosmica, con l’Assoluto. Paramahansa Yogananda nel suo commento a questo versetto scrive: “Lo yoghi progredito percepisce la sua anima come un’onda nell’oceano della Coscienza Cosmica. Ma lo yoghi completamente liberato contempla la sua anima–onda come una manifestazione dell’Oceano Cosmico. Così uno yoghi non direbbe mai, ‘Io sono Dio’, poiché egli sa che Dio può esistere senza la sua anima; ma, se vuole, può dire: “Dio è diventato me stesso”. Ma se noi siamo già parte di Dio. Se scopriamo in noi stessi il Dio cosmico, nel momento in cui lo realizziamo non diventiamo parte di questa entità divina?


Krishna, in un altro versetto, dice ad Arjuna: “Colui il cui Sé ha raggiunto l’armonia dello Yoga pensa il Sé in tutti gli esseri e tutti gli esseri nel Sé, dappertutto egli vede nello stesso modo”. Significa ogni essere vivente, ogni essere senziente è un altro te stesso, ma anche un fiore, una foglia, un insetto è espressione dello Spirito universale. L’intera manifestazione è espressione dello Spirito cosmico. Se noi siamo in Dio e Dio è in noi, ogni altro essere umano è una parte di noi. E quindi non c’è separazione.


Mi chiedo perché le varie religioni non insegnino questo concetto così elementare e così importante, non insegnino soprattutto la tolleranza. Quanto sangue sarebbe stato risparmiato, quante guerre di religione evitate! Anche la Chiesa cattolica continua a sostenere, sia pure in modo più velato di un tempo, la propria supremazia rispetto alle altre religioni. Il Cristo è l’unico Figlio di Dio, incarnato sulla terra per redimerci. E per chi non ha raggiunto questa certezza? Lo Yoga, che significa letteralmente unione, esprime un concetto basilare della filosofia indù: unione con Dio e con tutti gli altri esseri viventi. E dove c’è unione c’è amore. Soltanto dove c’è divisione può esserci disprezzo, rivalità, odio, violenza.

lunedì 1 novembre 2010

La morte di mio padre

Anche la morte di mio padre è stranamente legata a un viaggio inaspettato. Era finita da pochi mesi una storia d’amore importante, la più importante della mia vita, ero sola con mio figlio, senza lavoro, senza una lira, con uno sfratto in corso, quando lui ci lasciò nel giro di pochi giorni a sessantasei anni. Era il 1982. Il cuore mi scoppiava dal dolore, dovevo digerire due lutti e continuare a vivere. Un’impresa che mi sembrava impossibile. Credevo di impazzire, accettai così il prestito di un amico — ero disoccupata e piena di debiti — e partii dopo pochi giorni per l’India con un’amica che aveva già programmato da tempo il suo viaggio. Vedere l’India che tanto amavo non diminuì la mia sofferenza, ma quel viaggio mi regalò un’esperienza di Luce, che forse doveva rafforzarmi interiormente per affrontare le prove che sarebbero seguite da lì a poco.


Mi ammalai subito a Katmandu. Tornai in Italia, subii un’operazione, l’anestesia indebolì il mio fisico già provato, per anni si susseguirono varie malattie, l’asma mi impedì di respirare e dormire per molto tempo. Non riuscivo nemmeno a piangere, perché il respiro si spezzava in gola. Ho impiegato molti anni per recuperare un po’ di salute e una vita quasi normale. Ma poi sono venuti altri problemi. Ho sempre la sensazione di stare in prima linea, che non mi sia mai concesso un po’ di pausa per rifugiarmi nelle retrovie. Ed è forse per questo che a volte sono presa dal desidero di lasciarmi andare, pur temendo la morte spesso l’ho desiderata; ma c’è sempre qualcuno o qualcosa che mi costringe a continuare.


La morte di mia madre

Ciò che ci accade non è mai casuale, appartiene a un disegno “divino”; un indù direbbe alla legge del karma. Le esperienze dolorose servono per farci crescere e soltanto dopo molti anni si riesce a guardare indietro con un po’ di obiettività e a intuire, forse, la trama del disegno. Nel 1994 avevo deciso di non seguire l’appuntamento yoga di Assisi. Soffrivo ancora dei postumi di un incidente automobilistico con trauma cranico avvenuto tre mesi prima, quando mia madre morì improvvisamente. Allora decisi di partire per la città di San Francesco per allontanarmi da Roma, con la speranza illusoria di creare un vuoto tra me e il dolore. Ad Assisi incontrai un monaco camaldolese che seguiva la mia stessa tecnica, il Krya Yoga, diffuso in occidente da Paramahansa Yogananda. Ne è nata un’amicizia, è diventato con gli anni un punto di riferimento, un amico spirituale con cui è possibile confrontarsi.


Ricordo con angoscia il giorno in cui mia madre si ammalò, era il Lunedì dell’Angelo, eravamo in campagna e dovevamo tornare a Roma. Si era messa la giacca per uscire, ma cominciò a sentirsi male, aveva un forte mal di testa con nausea e vomito.


Dopo dodici giorni e un inutile intervento chirurgico morì a Roma. Prima che il coma oscurasse la sua mente avevo fatto in tempo a dirle: “Mamma, ti voglio bene”. E una lacrima era scesa sul suo volto.