sabato 2 febbraio 2013

Catturare un serpente



“Il modo migliore per catturare un serpente e altri sutra”. Titolo insolito per  l’ultimo libro di Thich Nhat Hanh (pubblicato da Ubaldini Editore).  Il  maestro vietnamita, con il suo stile semplice e avvicente, ci porta per mano  attraverso la pratica del Buddhismo. Quelli che seguono sono i concetti che più mi hanno colpito.

Il serpente è l’insegnameno del Buddha. Bisogna afferrarlo bene altrimenti morde.Tutto inizia da un bhiksu, Arittha, che afferma convinto agli altri monaci:” Credo che il Buddha non consideri i piaceri dei sensi un ostacolo alla pratica.” E il libro spiega perché Arittha  ha interpretato male il pensiero del Buddha.

Il Buddha dice ai suoi discepoli che la pratica del Dharma non esclude il piacere di una brezza o di un tramonto. Godere delle cose con moderazione non provoca sofferenza, non ci lega ai vincoli dell’attaccamento.

Il Buddha insegna l’impermanenza,  il non sé, la vacuità, il nirvana, non come teorie, ma come abili mezzi  che aiutano la pratica. Non sono la verità assoluta, dice.  Sono come un dito che indica la luna, pertanto non sono la luna. Lo scopo principale del sutra è dimostrare la necessità di spezzare le catene dell’attaccamento. Essere attaccati a qualcosa, compresi gli insegnamenti, è un ostacolo al progresso. Gli insegnamenti buddhisti   inducono a sviluppare la comprensione e la compassione.

Per spiegare il non sé, Tich Nhat Hanh ricorda che non esiste una sola cosa immutabile, tutto si trasforma.  Gli antichi Veda e le Upanishad sostengono invece che esiste un piccolo sé immutabile in ognuno di noi e la liberazione si raggiunge quando il piccolo sé si fonde con con il grande Sé, o Brahman. Secondo l’induismo ognuno di noi ha un sé divino (Atman) che è eterno e parte di un grande Sé divino (Brahaman).

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