lunedì 1 novembre 2010

La morte di mia madre

Ciò che ci accade non è mai casuale, appartiene a un disegno “divino”; un indù direbbe alla legge del karma. Le esperienze dolorose servono per farci crescere e soltanto dopo molti anni si riesce a guardare indietro con un po’ di obiettività e a intuire, forse, la trama del disegno. Nel 1994 avevo deciso di non seguire l’appuntamento yoga di Assisi. Soffrivo ancora dei postumi di un incidente automobilistico con trauma cranico avvenuto tre mesi prima, quando mia madre morì improvvisamente. Allora decisi di partire per la città di San Francesco per allontanarmi da Roma, con la speranza illusoria di creare un vuoto tra me e il dolore. Ad Assisi incontrai un monaco camaldolese che seguiva la mia stessa tecnica, il Krya Yoga, diffuso in occidente da Paramahansa Yogananda. Ne è nata un’amicizia, è diventato con gli anni un punto di riferimento, un amico spirituale con cui è possibile confrontarsi.


Ricordo con angoscia il giorno in cui mia madre si ammalò, era il Lunedì dell’Angelo, eravamo in campagna e dovevamo tornare a Roma. Si era messa la giacca per uscire, ma cominciò a sentirsi male, aveva un forte mal di testa con nausea e vomito.


Dopo dodici giorni e un inutile intervento chirurgico morì a Roma. Prima che il coma oscurasse la sua mente avevo fatto in tempo a dirle: “Mamma, ti voglio bene”. E una lacrima era scesa sul suo volto.

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