venerdì 12 marzo 2010

Tibet -Incontro con il Karmapa










A Dharamsala, in India, dove vive il Dalai Lama, ho visitato nel 2000 il museo tibetano. Fotografie, video, testimonianze drammatiche sulla crudele e continua opera di cinesizzazione del Tibet. Uno sterminio lento di un popolo e di una cultura. Sono drammatiche le testimonianze di alcune suore che sono riuscite a fuggire dal Tibet attraverso la catena dell’Himalaya e il Nepal. Raccontano violenze, soprusi e torture orribili. E la comunità internazionale, condizionata da diplomazia e affari, non reagisce come dovrebbe per questa sistematica violazione dei diritti umani.

E la persecuzione religiosa continua ancora oggi in Tibet. Ma, in realtà, cosa temono i cinesi? Lo stesso Dalai Lama non parla più di indipendenza del Tibet ma di autonomia, di rispetto per la cultura e la lingua del popolo tibetano. Dal 1950, anno dell’invasione del Tibet da parte dei cinesi, che ne proclamarono subito l’annessione, si assiste a una progressiva spoliazione del territorio. Distruzione di migliaia di templi, che contenevano preziose statue, testi antichissimi, mandala, deforestazione. In trent’anni, dal 1950 al 1980, si pensa che circa due milioni di tibetani siano morti a causa dell’occupazione cinese. Molti monaci e suore sono stati incarcerati senza motivo, torturati, seviziati. Lo stesso Dalai Lama nel 1959 è stato costretto a fuggire in India, dove ha creato un governo provvisorio in esilio.

I cinesi, se con umiltà si avvicinassero al buddismo, capirebbero che non ha alcun senso distruggere una cultura e un popolo, che ha come filosofia la compassione e la non violenza. Il Buddha è una delle figure più belle della storia dell’umanità. L’Illuminato predica unicamente amore e tolleranza; afferma che si può amare soltanto se si comprende, perché non ci può essere amore senza comprensione, perché è dalla comprensione che scaturiscono la compassione e l’accettazione dell’altro, la giusta azione. È la comprensione la chiave per la nostra liberazione dal ciclo di nascite e morte.




L’incontro con il Karmapa

In tutti i miei viaggi in India mi è capitato di incontrare molti guru, persone sagge, ma una sola volta ( nel 2000) ho avuto la netta sensazione di stare di fronte a un essere perfetto, un Illuminato, un Buddha vivente.

Sto parlando del Karmapa, seconda figura spirituale dopo il Dalai Lama, il giovane dal volto bellissimo; quando l’ho incontrato, era appena fuggito dal Tibet e viveva recluso in un monastero a Dharamsala. Temevano per la sua vita e nel monastero c’erano delle guardie armate. Ero a cena con un’altra turista italiana nel ristorante frequentato da Richard Gere ( così dissero i camerieri) , quando conobbi una coppia di buddisti fiorentini. Grazie a loro e al loro maestro, che insegnava al Karmapa, fummo ricevuti: un raro privilegio. Eravamo gli unici tre italiani , all’inizio di una lunga fila di pellegrini venuti dallo Sri Lanka. Non sapevo come comportarmi. I miei amici mi dettero alcuni consigli; quando fui davanti a lui per ricevere la sua benedizione, mentre tutti chinavano la testa, io alzai il viso per ben due volte. I suoi occhi avevano uno sguardo intenso e profondo, specchio di una immensa forza interiore, il suo sorriso appena accennato era dolce e rassicurante. In lui non era percepibile nessuna umana debolezza. Un essere perfetto, un Buddha vivente; negli occhi aveva la potenza di mille soli. E toccò il mio cuore.

L’incontro con lui e i seri problemi di salute che seguirono mentre mi trovavo sola nell’ashram di swami Shivananda a Rishikesh mi lasciarono un segno profondo nell’anima. Tornando in Italia, sentii dentro di me per la prima volta che cosa vuol dire aver compassione ed empatia per tutti gli esseri viventi. Avevo ritrovato leggerezza di cuore e serenità. Purtroppo, nessuna conquista è eterna. Il frastuono della vita quotidiana, le responsabilità, il lavoro, cancellano o soffocano quel poco che abbiamo faticosamente raggiunto. Ma chi vive questo tipo di emozioni sa che sono vere e che un giorno possono ritornare.


Il XVII Karmapa, Ogyen Trinley Dorje, è nato in Tibet il 26 giugno del 1985. Da quando si è rifugiato in India vive nel monastero di Gyuto a Dharamsala. Quest’anno verrà per la prima volta in Europa per 5 settimane per un ciclo di incontri e conferenze. Visiterà nove paesi: Germania, Svizzera, Danimarca, Polonia, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Spagna, Paesi Bassi. Il tema centrale del suo tour europeo è: “Il futuro è ora. Il messaggio del Buddha per il mondo di oggi”. Primo appuntamento il 27 maggio a Francoforte .


Kalachakra significa ruota del tempo, senza inizio e senza fine. E’ un’ iniziazione, che dona una grande energia spirituale a chi vi partecipa; è conferita dal Dalai Lama per sviluppare la bodhicitta, la compassione e la volontà di liberare tutti gli esseri umani dalla sofferenza e, di conseguenza, portare la pace e l’armonia nel mondo.


Le foto del Kalachakra, che si è svolto a Bodhgaya, in India, nel 2003, sono di Emiliano Pinnizzotto, su gentile concessione della Graffiti Press.



“Il tempo è la sostanza dalla quale mi sono fatto.

Il tempo è un fiume che mi porta avanti, ma io sono il fiume;

Si tratta di una tigre che mi divora, ma io sono la tigre;

si tratta di un fuoco che mi consuma, ma io sono il fuoco”.

Jorge Louis Borges



1 commento:

  1. Cara Mirabai,
    ho letto il tuo blog e lo trovo molto ispirante. Complimenti!

    RispondiElimina