venerdì 7 gennaio 2011

Monsignor Oscar Romero



Monsignor Oscar Romero, assassinato sull’altare dagli squadroni della morte nel 1980, non aderì mai ufficialmente alla Teologia della Liberazione, si dichiarò sempre fedele alla Santa Sede. Ma le sue scelte pastorali e le sue omelie, diffuse via radio, e pertanto ascoltate in tutte il paese, molto dure nei confronti della feroce giunta militare salvadoregna, gli inimicarono sia gli altri prelati della Chiesa che il governo locale . Denunciò la violenza della dittatura, la violazione dei diritti umani, l’uccisione dei campesinos; condannò le ingiustizie, le torture, i massacri, i desaparecidos. E per coerenza non presenziò mai alle cerimonie dove era presente la giunta militare. Scrisse anche all’allora presidente degli Stati Uniti Carter ,perché non finanziasse più la giunta militare. Per questo fu considerato, a torto, vicino ai marxisti e osteggiato dalla maggior parte dei vescovi latino americani, decisamente più conservatori.

Monsignor Romero venne due volte a Roma. Dal colloquio con Paolo VI ne uscì confortato. Più problematico fu l’incontro con Giovanni Paolo II, che gli consigliò prudenza e collaborazione con la giunta militare. Monsignor Romero non si sentì compreso, o forse non riuscì a spiegare al Papa la gravita della situazione nel suo paese. Incontrò un’altra volta Giovanni Paolo II e questa volta, come riferirono i suoi collaboratori, si sentì finalmente in sintonia con il pontefice. Quando la situazione nel paese precipitò , e dopo che era stato minacciato di morte sia dalla destra che dalla sinistra, il Vaticano propose a Romero di rifugiarsi a Roma, ma l’arcivescovo di San Salvador rifiutò, preferendo rimanere tra la sua gente.

Romero, definito “ la voce di chi non ha voce”, viveva in prima persona gli insegnamenti di Cristo. Affermava che la pace non può esistere senza giustizia sociale e che tutti gli uomini devono avere le stesse opportunità. Ribadiva che la forza della religione sta nell’amore. Parole rivoluzionarie! Venerato dal suo popolo, oggi considerato santo, fu ucciso da un cecchino rimasto impunito, il 24 marzo del 1980, a 62 anni, mentre celebrava la Messa. Sull’altare si preparava all’offertorio, cadde sul pavimento e le ostie si macchiarono del suo sangue. Le parole di Monsignor Romero, durante l‘ultima omelia, furono: “Vi supplico, vi chiedo, vi ordino, che in nome di Dio cessi la repressione.” 240 mila persone seguirono il suo funerale. Lo scoppio di una bomba carta, l’intervento dei militari, il panico, provocò un massacro. Un tragico destino.

Nel 1983, Giovanni Paolo II si recò in Salvador e, nonostante la contrarietà del governo salvadoregno, ruppe il protocollo, si fece aprire la cattedrale e si inginocchiò davanti alla tomba di Monsignor Romero. Per i presenti fu un momento di grande commozione. Il Papa pronunciò più volte:”E’ nostro”. In quel momento la Chiesa si riappropiava del suo vescovo, e metteva a tacere i tentativi della sinistra di impossessarsi del suo nome. Nel Giubileo del 2000 Papa Wojtyla lo inserì tra i nuovi martiri. La beatificazione doveva avere un iter rapido, visto il suo martirio sull’altare ma, come al solito, la diplomazia, il prevalere dell’opportunità politica, forse le gelosie dei conservatori della Curia romana, ne hanno ritardato l’evento. Questa è la Chiesa di Roma, che non riconosce nemmeno i suoi santi! Ci voleva il Papa venuto dall'altra parte del mondo, Papa Francesco Bergoglio, per accelerare l'iter della beatificazione che si terrà il 23 maggio 2015 a San Salvador.

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