venerdì 24 dicembre 2010

I semi della violenza


Lo yoga insegna con le sue tecniche a neutralizzare la legge del karma, abituando il discepolo a non attaccarsi alle cose, agli oggetti, alle persone. Insegna ad agire con disinteresse, senza attendere il frutto delle proprie azioni. Paramahansa Yogananda amava ripetere: “I semi del passato karma non possono germogliare se vengono bruciati nel fuoco divino della saggezza”.


Krishna, nella Bhagavad Gita, cerca di convincere Arjuna che è giusto e doveroso uccidere i suoi cugini Kaurava. Si può accettare il discorso di Krishna in chiave metaforica: ognuno di noi deve combattere una guerra interiore contro il Male. Krishna dice: “Tu sei un guerriero, allora tu devi uccidere”. Ma un uomo non è soltanto un guerriero, è soprattutto un essere umano, quindi deve trascendere la propria casta. Gandhi ha mostrato con la sua vita che si può combattere la violenza con la non violenza. Diceva: “L’uomo forte non ha bisogno di armi per difendere la sua libertà. Egli sacrifica il suo corpo per salvare la sua anima”. Purtroppo anche l’ India, a volte, è percorsa dai fremiti dell’ integralismo e del terrorismo religioso.


L’idea di una guerra giusta o santa la ritroviamo in molte religioni. Non erano viste in questa ottica forse le crociate dei cristiani? E quanta violenza, quanto sangue continua ancora a seminare nel mondo la lotta degli integralisti islamici! Sarebbe stato possibile sconfiggere il fascismo e il nazismo senza combattere con le armi? In caso di aggressione, un popolo ha il diritto di difendersi? Nella attuale società globalizzata oggi si combatte anche in nome di un ideale di democrazia e di giustizia, vero o presunto. Le truppe di pace dell’ONU sono andate in Bosnia e in Ruanda e in molti altri stati. Gli americani hanno intrapreso la prima guerra del Golfo, probabilmente più per difendere i loro interessi per il petrolio, che per proteggere il Quwait da Saddam Hussein. E dopo tanti anni le truppe internazionali, comprese quelle italiane, sono ancora in Iraq e in Afghanistan. E non si vede ancora un via d’uscita onorevole. Intanto, continuano le stragi da parte dei terroristi e aumentano le vittime civili della “guerra intelligente”.


Il tema della violenza ci riporta inevitabilmente alla seconda guerra mondiale e alla terribile tragedia dell’Olocausto. Milioni di ebrei uccisi con il gas letale nei campi di concentramento. E non si sono mai sopite le polemiche su Pio XII (riaccese dopo un recente sceneggiato televisivo) ; molti tedeschi erano “buoni” cattolici, perché dal pulpito il Papa non ha mai urlato ad Hitler: ”Basta con queste barbarie!”? Pio XII non sapeva nulla dei campi di concentramento? Non sapeva delle camere a gas? Credo che Giovanni Paolo II, che ha sempre tuonato contro tutte le guerre, non si sarebbe fermato davanti a nulla. E’ vero anche che molti ebrei, in Italia ma anche all’estero, sono stati salvati, protetti, nascosti nei vari monasteri e conventi cattolici.


La violenza quotidiana nelle nostre città si alimenta con il mito delle armi. Negli Stati Uniti è talmente facile acquistare una pistola ed è così comune averla in casa che un bambino può portarla a scuola e uccidere i compagni di classe e gli insegnanti per disperazione o per gioco, perché lo ha visto fare in televisione. E’ successo varie volte, come testimoniano le cronache, e questo ci lascia esterrefatti, ma è altrettanto barbaro l’uso della pena capitale. Ad uno Stato moderno e democratico non è lecito uccidere.

sabato 18 dicembre 2010

L’Ego

L’ Ego è il grande nemico dell’uomo e della sua ricerca spirituale. Spesso nella vita si incontrano degli ego mostruosi, sono come dei palloni gonfiati che sovrastano e appesantiscono il corpo fisico. Persone che non conoscono la discrezione, la sobrietà, l’autocritica e l’autoironia. Chi cerca invece la perfezione, chi segue il cammino spirituale, chi desidera diventare una sola cosa con l’Uno ha davanti una sola certezza: un lungo e faticoso percorso. Alla fine del cammino, irto di ostacoli e sofferenza, si dovrebbe giungere anche al superamento della distinzione dei due sessi, il concetto maschile e femminile non dovrebbe avere più alcun senso.


Credo che la santità non sia patrimonio di una sola religione, si può diventare santi qualunque dio si adori. Sono necessarie: verità, onestà, consapevolezza. La nostra meta è arrivare ad armonizzare le due polarità, maschile e femminile, che sono dentro di noi.


Un giorno una bambina chiese a Yogananda durante una cena, colpita forse dai suoi lunghi capelli,: “Sei un uomo o una donna?”. E lui rispose: “Né l’uno né l’altra”.


domenica 12 dicembre 2010

La reincarnazione secondo il Vedanta



“…Il pensiero vedantico non vedeva la rinascita come un ingresso in un nuovo corpo subito dopo la morte; l’essere mentale dell’uomo non è legato in modo così rigido all’essere vitale e a quello fisico,- al contrario, questi ultimi in genere dopo la morte si dissolvono. Deve quindi esistere , prima che l’anima sia richiamata indietro verso un’esistenza terrestre, un intervallo nel quale essa possa assimilare le sue esperienze terrene per essere in grado di costituire poi un nuovo essere vitale e fisico sulla terra. Durante tale intervallo essa deve indugiare in stati e mondi di là da questo, che possono essere favorevoli e sfavorevoli al suo sviluppo futuro. … "


"...In rapporto allo sviluppo individuale dell’anima, quindi, la vita nei mondi dell’aldilà, come la vita sulla terra, è un mezzo e non un fine in sé stesso.”

(Isha Upanishad commentata da Sri Aurobindo).

Isha Upanishad


Questo verso della Isha Upanishad, una delle più antiche ed ermetiche sruti, “scritture rivelate” , dovrebbe essere meditato da molti intellettuali dei nostri tempi :” In cieche tenebre entrano coloro che seguono il cammino dell’Ignoranza, e in tenebre, se possibile ancora più fitte, coloro che si dedicano alla Conoscenza soltanto”.

domenica 5 dicembre 2010

Arjuna e il dovere di uccidere


“Colui che pensa che sia esso a uccidere e colui che pensa sia esso ad essere ucciso, sono tutti e due in errore, perché esso non uccide né è ucciso”. (Bhagavad Gita)


E con parole quasi identiche esprime lo stesso concetto la Katha Upanishad. Poi Krishna nella Bhagavad Gita, aggiunge: “Esso non nasce mai né mai muore, né, essendo ciò che è venuto ad essere, di nuovo cesserà di essere; è non–nato, eterno, permanente, originario; non è ucciso quando il corpo è ucciso”. Come dire: Le armi non fendono il Sé, il fuoco non lo brucia, né lo bagna, quindi si può anche uccidere un’altra persona perché quello che muore non è il Sé, ma soltanto il corpo, un logoro vestito. Sembra quasi una giustificazione di quello che si appresta a fare Arjuna, sia pure con riluttanza: uccidere i suoi nemici, i cugini Kaurava. Noi intendiamo il messaggio della Bhagavad Gita, come un discorso metaforico, simbolico. Arjuna deve uccidere la parte negativa che è in lui, il suo lato Ombra.


Krishna continua il suo discorso ad Arjuna: “Ma se tu non vuoi compiere questa lotta secondo giustizia, allora, col mettere da parte il tuo dovere e la tua gloria, commetterai peccato”. Quindi colui che, per paura o per debolezza, rinuncia alla lotta nella vita quotidiana, commette peccato. Prosegue: “Inoltre gli uomini parleranno sempre della tua vergogna; e per uno di cui si è avuto sempre un’alta opinione, il disonore è peggio della morte stessa”. “O ucciso otterrai il cielo o, vincitore, ti godrai questa terra”. Insomma, lo sprona a superare tutte le remore, tutte le debolezze, tutte le paure, la pietà, per andare avanti con la battaglia e vincere.

martedì 23 novembre 2010

Modelli d’impegno

I monaci, i mistici, i religiosi, invece di chiudersi in convento o scegliere una grotta dove meditare, dovrebbero mescolarsi tra la folla per portare la buona novella, come fece il Cristo. Il Cristo, infatti, non si è nascosto nelle caverne ma è entrato nelle case, si è seduto a tavola con i poveri. E’ un mio auspicio. Nel terzo millennio le donne e gli uomini spirituali dovrebbero vivere con gli altri e per gli altri. La società ha bisogno di loro, la terra ha bisogno di loro, se non vogliamo che il nostro pianeta si avvii verso l’autodistruzione.


Per questo motivo amo molto la figura del bodhisattva. Non ci si può salvare se non salvando anche gli altri. Siamo anelli di un’unica catena. Vedo gli eremi destinati a pochi, anche se aperti a tutti, per lunghi periodi di formazione o per brevi periodi di ricarica spirituale. La battaglia è nella vita, in questa vita insanguinata di tutti i giorni.


Le figure positive che ammiro sono l’Abbe Pierre, suor Emmanuelle, Madre Teresa di Calcutta, ora beata, premio Nobel per la pace. L’Abbé Pierre durante l’ultima guerra ha fatto la Resistenza, si è battuto per il suo popolo, si è battuto anche politicamente, come deputato del Parlamento francese, per dare ai poveri quel minimo necessario, indispensabile di cui avevano bisogno. Ha fondato la comunità Emmaus, centro di raccolta per i diseredati della terra. Suor Emmanuelle ha lasciato il comodo letto del convento per vivere povera tra i poveri, straccivendola tra gli straccivendoli del Cairo, cercando di ridare loro dignità umana, raccogliendo fondi per costruire loro un tetto. Madre Teresa è troppo nota perché se ne debba parlare. Non ha risparmiato energie per lavorare per gli altri. Durante un mio soggiorno a Camaldoli ho conosciuto una suora medico che viveva e lavorava in ospedale. Questi sono i religiosi ideali, i santi di oggi.


Possono essere di esempio nei posti lavoro dove, in genere, imperano arroganza, violenza, maleducazione. Il mondo è corrotto, malato. Forse la mia è una visione pessimistica. Abbiamo inquinato i mari, l’aria che respiriamo, i cibi che mangiamo, abbiamo inquinato i rapporti umani, tutto per la legge aberrante del profitto. La cattiva pubblicità nelle varie reti televisive incide sulle giovani menti. Negli Stati Uniti, ma anche in Europa, la violenza e il sangue scorrono a fiumi nei film e telefilm. Una ricerca di alcuni anni fa dell’università di Los Angeles ha stabilito che un bambino americano, prima ancora di finire le scuole elementari, ha visto in televisione più di ottomila omicidi e centomila atti di violenza. Quale generazione stiamo allevando? Di mostri?

domenica 21 novembre 2010

Il mito della verginità

Il mito della verginità! Un mito maschile, non certo femminile,: un tempo l’uomo poteva rifiutare la moglie se il giorno del matrimonio scopriva che non era più vergine. Maria Goretti, uccisa il 5 luglio del 1902 con 14 colpi di punteruolo da un ventenne, Alessandro Serenelli, santificata perché martire, è diventata per la Chiesa il simbolo della purezza, un esempio per tutte le donne. Aveva 11 anni, le cronache dell'epoca la descrivono magra, denutrita, analfabeta. Era soltanto una bambina terrorizzata di essere uccisa, come pensa qualcuno, oppure era realmente consapevole della verginità come bene irrinunciabile?


E la verginità come bene irrinunciabile è quello che ripetevano continuamente le suore che gestivano la scuola che frequentavo, per volere di mio padre. Tanto che un giorno temetti di averla persa perché un bambino mi aveva soltanto sfiorato. Ricordo la sofferenza e l’umiliazione; nella mia mente infantile, mi disperavo per qualcosa che non sapevo nemmeno cosa fosse. Mi sentivo schiacciata dal senso di colpa e di inutilità. Tanto da desiderare di morire. Ma anche quello era peccato. Così, non mi rimase che convivere con la mia pena, finchè non fui abbastanza grande da capire che la verginità non può essere un mito, al massimo una scelta.


Nella società attuale la parola verginità è quasi scomparsa dal vocabolario degli adolescenti. Se qualcuno chiedesse a una ragazza:” Sei vergine?” Risponderebbe quasi sicuramente:”No, sono del segno dello scorpione”. Vergine non è chi non ha mai avuto rapporti sessuali, e magari pratica un petting spinto; vergine è colui o colei che ha la mente pura, aperta, tollerante.

venerdì 19 novembre 2010

La castità

In tutte le grandi religioni per i sacerdoti è previsto il voto di castità. Per chi sceglie la via spirituale dovrebbe esserci il superamento della sessualità, anche se nel Cantico dei Cantici si parla dell’ amore fisico con bellissime parole. Un monaco può amare un altro monaco o può amare una persona del mondo, ma solo castamente. A proposito delle nozze mistiche della Beata Vergine, troverei assolutamente normale l’idea che Maria sia stata realmente la sposa di Giuseppe e possa aver concepito Gesù come una donna normale. Credo che questa tesi non trovi grandi opposizioni tra i teologi come padre Haering, che ritiene meschino dare tanta importanza al miracolo biologico. E lo stesso cardinale Ratzinger, prima di diventare pontefice, aveva sostenuto che la “dottrina che afferma la divinità di Gesù non verrebbe minimamente inficiata quand’anche Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano”.


La castità per un monaco è un dovere, per un laico una scelta. Ha più meriti il laico perché ha più tentazioni, più sollecitazioni? Lo scopo di chi sceglie il cammino spirituale dovrebbe essere quello di spiritualizzare il corpo con la preghiera e con la meditazione per arrivare ad amare tutti come compartecipi dello stesso organismo divino. Dall’amore possessivo all’amore universale. Ma l’amore universale non passa attraverso l’amore umano?


La vita monacale forse andrà scomparendo nel terzo millennio. Si può diventare santi, yoghi anche facendo il padre di famiglia, come racconta Paramahansa Yogananda nella sua autobiografia, portando ad esempio le vite di Sri Yukteswar e Lahiri Mahasaya. In India, quando si è esaurito il ruolo di genitori e si è arrivati alle soglie della vecchiaia, si può scegliere di dedicarsi unicamente all’ascesi. Swami Sharananda Giri, sposo, padre, soldato, ad un certo punto della sua vita ha scelto la vita monastica ed è stato per molti anni responsabile dell’ashram della YSS–SRF di Yogananda a Dwarahat sull’Himalaya. Di lui, che ho avuto la gioia di conoscere, ho parlato diffusamente in molti post precedenti.

sabato 13 novembre 2010

La comunione: un’eccezione per Berlusconi

Per decenni suore e preti hanno educato le giovani generazioni su un concetto base: il corpo racchiude ogni male e, per questo, va punito, castigato, represso, controllato. Se le spalle degli alunni erano curve non era per colpa della scoliosi ma dei tanti peccati commessi. E’ stata colpevolizzata una intera generazione di fanciulli e fanciulle, che sono cresciuti e diventati adulti con un senso di schifo nei confronti del proprio corpo e, di conseguenza, con un atteggiamento nefasto nei confronti della sessualità. Le conseguenze: frigidità, impotenza, difficoltà a relazionarsi con gli altri, tutti problemi che hanno rovinato non pochi rapporti familiari.


E la Chiesa considera ancora prioritario determinare come, dove e quando una coppia possa avere rapporti sessuali. I giovani cattolici non seguono più norme così rigide. Hanno rapporti prematrimoniali, crescono figli, anche prima di ratificare l’unione in Chiesa. Continuano ad andare a messa ma non possono accedere al sacramento della comunione; lo stesso divieto vale per i separati e per i divorziati, che si sono uniti ad un'altra persona o si sono risposati solo civilmente. Una regola, però, che non vale per il nostro presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, pluridivorziato, che è stato fotografato mentre riceve la comunione. Perché questa eccezione? La vita del premier non è certo improntata a povertà, castità e riservatezza. Fare un’eccezione solo per lui rivela uno dei tanti peccati della Chiesa: preferire i potenti ai poveri cristi. In ogni latitudine, nel corso dei secoli, la Chiesa si è schierata con il più forte di turno, anche se questo spesso voleva dire stare accanto al più corrotto e violento.


Ci sono invece ferventi cattolici che si sono risposati che non possono accedere ai sacramenti. Una rigidità che sta provocando un lento e inesorabile allontanamento delle nuove generazioni dalla pratica religiosa. Ha ancora senso oggi essere così rigidi, quando continuano ad occupare le cronache dei giornali e delle televisioni di tutto il mondo gli scandali dei preti pedofili, negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania, in Italia?


martedì 9 novembre 2010

Una sola cosa con l’Assoluto


Vorrei commentare questo passo della Bhagavad Gita: “Per colui che vede me dappertutto e vede tutto in me, non mi perde mai di vista, né io mai lo perderò di vista”. In pratica noi siamo una sola cosa con il divino che è in noi e diventiamo una sola cosa con l’energia cosmica, con l’Assoluto. Paramahansa Yogananda nel suo commento a questo versetto scrive: “Lo yoghi progredito percepisce la sua anima come un’onda nell’oceano della Coscienza Cosmica. Ma lo yoghi completamente liberato contempla la sua anima–onda come una manifestazione dell’Oceano Cosmico. Così uno yoghi non direbbe mai, ‘Io sono Dio’, poiché egli sa che Dio può esistere senza la sua anima; ma, se vuole, può dire: “Dio è diventato me stesso”. Ma se noi siamo già parte di Dio. Se scopriamo in noi stessi il Dio cosmico, nel momento in cui lo realizziamo non diventiamo parte di questa entità divina?


Krishna, in un altro versetto, dice ad Arjuna: “Colui il cui Sé ha raggiunto l’armonia dello Yoga pensa il Sé in tutti gli esseri e tutti gli esseri nel Sé, dappertutto egli vede nello stesso modo”. Significa ogni essere vivente, ogni essere senziente è un altro te stesso, ma anche un fiore, una foglia, un insetto è espressione dello Spirito universale. L’intera manifestazione è espressione dello Spirito cosmico. Se noi siamo in Dio e Dio è in noi, ogni altro essere umano è una parte di noi. E quindi non c’è separazione.


Mi chiedo perché le varie religioni non insegnino questo concetto così elementare e così importante, non insegnino soprattutto la tolleranza. Quanto sangue sarebbe stato risparmiato, quante guerre di religione evitate! Anche la Chiesa cattolica continua a sostenere, sia pure in modo più velato di un tempo, la propria supremazia rispetto alle altre religioni. Il Cristo è l’unico Figlio di Dio, incarnato sulla terra per redimerci. E per chi non ha raggiunto questa certezza? Lo Yoga, che significa letteralmente unione, esprime un concetto basilare della filosofia indù: unione con Dio e con tutti gli altri esseri viventi. E dove c’è unione c’è amore. Soltanto dove c’è divisione può esserci disprezzo, rivalità, odio, violenza.

lunedì 1 novembre 2010

La morte di mio padre

Anche la morte di mio padre è stranamente legata a un viaggio inaspettato. Era finita da pochi mesi una storia d’amore importante, la più importante della mia vita, ero sola con mio figlio, senza lavoro, senza una lira, con uno sfratto in corso, quando lui ci lasciò nel giro di pochi giorni a sessantasei anni. Era il 1982. Il cuore mi scoppiava dal dolore, dovevo digerire due lutti e continuare a vivere. Un’impresa che mi sembrava impossibile. Credevo di impazzire, accettai così il prestito di un amico — ero disoccupata e piena di debiti — e partii dopo pochi giorni per l’India con un’amica che aveva già programmato da tempo il suo viaggio. Vedere l’India che tanto amavo non diminuì la mia sofferenza, ma quel viaggio mi regalò un’esperienza di Luce, che forse doveva rafforzarmi interiormente per affrontare le prove che sarebbero seguite da lì a poco.


Mi ammalai subito a Katmandu. Tornai in Italia, subii un’operazione, l’anestesia indebolì il mio fisico già provato, per anni si susseguirono varie malattie, l’asma mi impedì di respirare e dormire per molto tempo. Non riuscivo nemmeno a piangere, perché il respiro si spezzava in gola. Ho impiegato molti anni per recuperare un po’ di salute e una vita quasi normale. Ma poi sono venuti altri problemi. Ho sempre la sensazione di stare in prima linea, che non mi sia mai concesso un po’ di pausa per rifugiarmi nelle retrovie. Ed è forse per questo che a volte sono presa dal desidero di lasciarmi andare, pur temendo la morte spesso l’ho desiderata; ma c’è sempre qualcuno o qualcosa che mi costringe a continuare.


La morte di mia madre

Ciò che ci accade non è mai casuale, appartiene a un disegno “divino”; un indù direbbe alla legge del karma. Le esperienze dolorose servono per farci crescere e soltanto dopo molti anni si riesce a guardare indietro con un po’ di obiettività e a intuire, forse, la trama del disegno. Nel 1994 avevo deciso di non seguire l’appuntamento yoga di Assisi. Soffrivo ancora dei postumi di un incidente automobilistico con trauma cranico avvenuto tre mesi prima, quando mia madre morì improvvisamente. Allora decisi di partire per la città di San Francesco per allontanarmi da Roma, con la speranza illusoria di creare un vuoto tra me e il dolore. Ad Assisi incontrai un monaco camaldolese che seguiva la mia stessa tecnica, il Krya Yoga, diffuso in occidente da Paramahansa Yogananda. Ne è nata un’amicizia, è diventato con gli anni un punto di riferimento, un amico spirituale con cui è possibile confrontarsi.


Ricordo con angoscia il giorno in cui mia madre si ammalò, era il Lunedì dell’Angelo, eravamo in campagna e dovevamo tornare a Roma. Si era messa la giacca per uscire, ma cominciò a sentirsi male, aveva un forte mal di testa con nausea e vomito.


Dopo dodici giorni e un inutile intervento chirurgico morì a Roma. Prima che il coma oscurasse la sua mente avevo fatto in tempo a dirle: “Mamma, ti voglio bene”. E una lacrima era scesa sul suo volto.

sabato 23 ottobre 2010

Il dolore

Il dolore, quando è intenso e prolungato, annichilisce la persona e le sue difese. Per questo, in genere, a una malattia ne subentra subito un’altra senza soluzioni di continuità. A volte, può accadere di vivere per mesi con la sensazione di essere arrivati al capolinea. È come se ci fosse un muro invalicabile davanti a noi, come se sullo schermo della nostra vita fosse apparsa la parola “the end”. In quei momenti non sappiamo se assecondare questa sensazione di fine oppure ribellarci alla malattia, reagire, coltivando la speranza di guarire. Ci chiediamo: Cosa sta succedendo? Stiamo vivendo la conclusione di una fase o è veramente arrivata la fine della vita? E spesso anche i sogni sembrano indicare l’incontro con la morte. Reale o metaforica? Allora, tagliamo tutti i ponti dietro di noi. Viviamo in un tunnel buio senza luce. Accanto a noi soltanto la disperazione. Le terapie contro il dolore, gli oppiacei, la morfina, possono alleviare la sofferenza fisica, ma un tarlo invisibile continua a corrodere la psiche.


Quando le malattie sono lunghe, dolorose, incomprensibili ai medici, refrattarie ad ogni cura, anzi che peggiorano con le cure, ci chiediamo se ha ancora senso continuare a occuparsi delle miserie della vita quotidiana invece di ritirarsi in un ashram, in un convento, per morire serenamente. In India la vita sembra scorrere in modo più naturale. Da ragazzi si pensa allo studio e alla formazione, poi al matrimonio e al lavoro, infine al ritiro e alla ricerca spirituale. Nella quarta fase dell’esistenza, che coincide con la vecchiaia, si sceglie la vita monastica. C è una grande saggezza in questa suddivisione dei compiti e dei ruoli.


martedì 19 ottobre 2010

La guerra

Non ordinare agli altri quello che tu non sei capace di fare e di dimostrare. Quando comandavo il mio reggimento – mi raccontò Swamji – se i miei soldati portavano 30 libbre di peso sulle spalle, io ne portavo 35. Swamj Sharananda Giri ha smesso di fare il militare nel 1959. Dal ’42 al ’46 è stato in Italia al seguito delle truppe inglesi. Bisogna difendersi e difendere il proprio paese, mi disse. In questo caso la violenza è inevitabile. E’ un dovere difendere il proprio paese e i più deboli.


La Baghavad Gita

La Baghavad Gita è un libro simbolico. I nemici da distruggere sono dentro di noi. Un testo molto bello, completo che risponde a tutte le domande.Quando si è diventati introspettivi si è pronti a ricevere un guru. Non bisogna cercarlo. Dio manda il guru quando è il momento giusto. Non bisogna essere intellettuali, filosofi. Non è necessario leggere tanti libri. Per raggiungere la self realization è sufficiente seguire quello che dice Yogananda, con disciplina e onestà. (Swami Sharananda Giri)


La bellezza è dentro di noi

Non comportarti da mendicante davanti a Dio. Non supplicare: ”Ti prego liberami dai problemi.“ I problemi li devi togliere dalla tua mente, mettendoci Dio. Devi credere in te stessa. Se prima non credi in te stessa, come puoi credere nel guru e in Dio? Fai una vita semplice. Certo, ognuno ha un’idea diversa della semplicità. La via spirituale è una via individuale. Marito e moglie non si debbono scambiare confidenze o insegnarsi a vicenda. Il sentiero spirituale è duro, va fatto gradino dopo gradino.


Un luogo è bello se dentro si è felici. Ma se c’è un male, un raffreddore, allora tutto diventa nero. Dobbiamo sforzarci di essere felici in Dio, così tutto sarà bello in ogni circostanza. La bellezza deve essere dentro di noi. (Swami Sharananda Giri).


martedì 12 ottobre 2010

Antico rimedio indiano

Disciplina anche nel mangiare. Non bisogna mangiare troppo. Quando si ha il raffreddore non mangiare né frutta né vegetali, ma soltanto riso e lenticchie o riso e fagioli. O soltanto una zuppa di dal (lenticche rosse) la sera. Mangiare un tipo di frutta al giorno. Non mescolare troppe cose. Non mangiare troppa frutta secca. Per il raffreddore, quando si sta male, è utile anche fare una pillola di ginger ( se non c’è lo zenzero fresco si può battere quello secco) con il miele. Si può aggiungere anche un po’ di sale per chi non ama troppo il dolce. Lasciarla sciogliere in bocca. E’ un antico rimedio indiano.


Questi i consigli di Swami Sharananda Giri della S.R.F. sull’alimentazione da tenere in caso di malattia.


Durante uno dei miei ritiri a Dwarahat, notai tra gli ospiti dell’ ashram una ragazza che spiccava per la sua devozione e per la serenità che espandeva. Lo Swami ne parlava sempre con ammirazione:” Andrew è un esempio da seguire.- diceva- Il suo viso espande una felicità estatica. Questo è l’effetto del krya yoga. Una felicità che prorompe all’esterno. Uno sguardo sereno , un sorriso estatico e una voce forte che lascia trasparire volontà e determinazione.”


Meditare sempre

“Canta Hong Sau mentre cammini. In qualunque momento della giornata, seduto su un autobus, in attesa all’aereoporto, canta Hong Sau,” mi disse un giorno Swami Sharananda Giri, in uno dei nostri incontri a Dwarahat. “Il nostro dovere è cambiare, cambiare in meglio ogni giorno. Non chiedere a Dio: Dammi questo, toglimi questa pena. Chiedi soltanto aiuto e guida. Non frequentare inutili compagnie. Evita le chiacchiere inutili. Impara a dire di no: Se la gente si offende, bene, non era una giusta compagnia. La porta di casa non deve essere aperta a tutti. Crescere la bellezza dentro di noi. Vedere Dio in ognuno e in ogni cosa. Vishnu disse a Tulsidas: Tu devi amare ognuno, perché non sai in quale forma fisica mi presenterò a te la prossima volta. L’umiltà è una delle principali virtù.”


“Amare tutti come se fossero figli. La più grande conquista per una donna è saper stimolare negli uomini l’amore per la madre divina, invece dell’amore sensuale. Parlare a Dio continuamente, come un bambino. Non è importante se non risponde. Un giorno risponderà. Bisogna essere capaci di mettersi in sintonia con Dio, rapidamente, senza pensare a ciò che accade intorno. Entrare dentro di sé, fare più meditazione, sempre più meditazione. Hai un buon karma se in questa vita hai incontrato Yogananda.”


“Lo scopo della vita ,come ha detto Guruji, è:

1 Imparare.

2 Imparare a crescere.

3 Crescendo riconoscere la verità che tu sei in realtà un ‘anima, una parte di Dio.

4 Self- Realization.”

domenica 10 ottobre 2010

Esistono gli Ufo?

Tutte le volte che sono in campagna, prima di mettermi a letto, esco sul terrazzo per ammirare il cielo, le stelle, la luna, le costellazioni. È uno spettacolo di tale mistero e bellezza che provo un senso di pace e anche di presenza di Dio. Un universo così meraviglioso, così perfetto non può esistere senza una mente divina. E spesso ho sperato di vedere qualche astronave solcare il cielo e atterrare sul prato che sta proprio di fronte alla mia casa. Per me sarebbe un vero scoop!


La penultima notte che ho dormito nella foresteria del monastero di Camaldoli, dove mi ero recata per un breve ritiro,mi è accaduto qualcosa di apparentemente inspiegabile. Ogni sera, per raggiungere i bagni, dovevo attraversare un lungo corridoio. E quando arrivavo all’altezza della finestra, che si affaccia sulla foresta, l’aprivo e mi mettevo ad ammirare il cielo e le stelle, come faccio solitamente quando sono nella mia casa di campagna. Anche quella sera ho fatto lo stesso percorso, ma quando sono arrivata alla finestra ho visto qualcosa che mi ha sorpreso e affascinato.


Il silenzio era assoluto, tutti dormivano, il cielo era nero — non c’era la luna —, la foresta era nerissima, ma in un punto, sulla destra della mia visuale, sotto la prima linea di colline, c’era una luce bianca intensissima che illuminava a giorno, dall’interno, una porzione circolare della foresta. Gli alberi si vedevano in controluce, le cime erano circondate da una sorta di luminescenza. Davanti a questo globo di luce, sulla sinistra c’era una specie di corridoio luminoso, lungo qualche decina di metri, come per consentire a qualcuno di scendere e camminare. E ad un certo punto sulla destra del globo luminoso ho visto comparire e scomparire due volte una luce rossa. Data la distanza, settecento, ottocento metri, doveva essere piuttosto grande.


Sono rimasta incantata dallo spettacolo, poi mi è scattata la molla della giornalista. Ho pensato: prendo la macchina e vado. Ma dove? C’è un’unica strada che porta all’eremo che, a un certo punto, devia sulla destra. Quello che io vedevo si trovava probabilmente nel mezzo della foresta, dove non mi risultava ci fossero alberghi o campeggi. Da sola, senza una torcia, dove sarei potuta andare? E come avrei fatto a rientrare in convento? Così, ho rinunciato all’avventurosa escursione notturna e sono rimasta in piedi a guardare, sperando che succedesse qualcosa. Ma non è successo nulla e, alla fine, sono tornata nella mia stanza. Dopo un’ora, a mezzanotte circa, mi sono rialzata e sono tornata alla finestra. La luce era ancora lì. Sono rimasta in piedi per non so quanto tempo poi, vinta dalla stanchezza, ma appagata dalla visione, sono tornata a dormire.


Quando la mattina dopo ne ho parlato con un amico monaco, lui ha sorriso e mi ha detto: “Curioso, io ieri sera ho pensato a un Ufo, e tu l’hai visto!”. Certo, non potrò mai sapere che cosa è stato. E non esiste nessuna spiegazione logica per quel tipo di fenomeno. Ma l’universo è talmente grande, esistono miliardi di galassie, miliardi di stelle, miliardi di sistemi solari uguali al nostro e ogni giorno si scoprono cose nuove. E’ impensabile che non ci siano altri pianeti abitati. E se ci sono, sono sicuramente molto più avanzati di noi dal punto di vista tecnologico visto che sono arrivati a frequentare il nostro cielo. Ogni tanto ci sono avvistamenti, segnalati anche da persone insospettabili.


Yogananda nella sua autobiografia, riferisce le parole di Sri Yukteswar: “Vi sono sfere astrali piene di tali esseri. I loro abitanti usano veicoli astrali, o masse di luce, per viaggiare da un pianeta all’altro più velocemente dell’elettricità e dell’energia radioattiva”. Era dunque un meeting, un incontro di spiriti elevati nel cuore della foresta di Camaldoli ? Avevano forse bisogno di posizionare una luce per fare sopralluoghi? E la luce rossa che è apparsa e scomparsa sulla destra per ben due volte? E se ci fosse stato Spielberg a girare un film? Ho sempre cercato di affrontare con scetticismo e razionalità ogni cosa insolita, o apparentemente insolita, che mi è capitata, ma dove la mente umana non può arrivare a capire, non rimane che arrendersi al mistero della vita. E poi nel Vangelo di Giovanni non si dice: Dietro le tenebre c’è la vita brulicante di altri mondi; nella casa del Padre mio ci sono molte dimore?


sabato 2 ottobre 2010

La paura e la guerra

“ La paura è uno dei problemi più grandi della vita. Una mente intrappolata dalla paura vive nella confusione, nel conflitto, ed è perciò costretta a essere violenta, distorta, aggressiva “. Krisnamurti


Una sensazione di paura, di angoscia, di pericolo, accompagna da sempre la mia vita e, a volte, riaffiora in modo sconvolgente nei miei sogni (ambientati tutti nella casa di campagna dei nonni materni), popolati da mostri, animali feroci, dischi volanti, tornado e cadaveri che emergono dal fango. Ce n’è uno in particolare, invece, che potrebbe essere un ricordo reale. Dovevo avere circa un anno. Sono nascosta sotto un tavolo, da cui pende una larga tovaglia bianca, con un mio cuginetto, di un anno più grande di me. Ad un certo punto si alza la tovaglia e noi vediamo due enormi stivali neri, quelli di un ufficiale tedesco che si china per offrirci due zollette di zucchero.


Per alcuni mesi ho vissuto realmente nella casa dei nonni materni (che si trovava sulla linea del fronte di Cassino, a pochi metri dalla via Casilina), mentre in lontananza risuonavano i bombardamenti. Eravamo fuggite da Roma- sarebbe più giusto dire mia madre era fuggita da Roma con me in braccio- dopo il tragico bombardamento di San Lorenzo, il 19 luglio del 1943. Abitavamo al quinto piano, senza ascensore, e quando suonava l’allarme - così mi raccontò mia madre- a volte i miei decidevano di non scendere al rifugio di piazza Dante. Si fermavano da amici al primo piano. Ma dopo il bombardamento, con migliaia di morti e feriti, mio padre decise che saremmo state più al sicuro in campagna e, soprattutto, io avrei potuto mangiare qualcosa di più di una semplice minestrina di crusca. La realtà che trovammo al nostro arrivo era però ben diversa.


L’edificio era stato sequestrato da un comandante tedesco, che vi aveva installato il suo quartiere generale. Nel 1957 l’ufficiale tedesco- si chiamava Karl ed era diventato un deputato della CDU- tornò a trovare mia nonna, con la moglie e i due figli. La nonna Marietta era una donna molto energica e coraggiosa. Aveva in mano le redini della famiglia e della casa. E come tutte le donne di campagna si faceva voler bene. Il marito- mio nonno- era emigrato in America e veniva a trovarla ogni dieci anni lasciandole nel grembo un figlio.



Il deputato Karl tornò in Italia in vacanza due, tre volte portando sempre a mia nonna dei doni, quasi per scusarsi di ciò che la guerra, voluta da altri, lo aveva costretto a fare, violentando la vita di una semplice famiglia di contadini, che si erano ritrovati senza casa, finiti in un vecchio rudere, e con poche cose da mangiare, perché farina, polli e conigli servivano per il comando tedesco. La biancheria, invece, mia nonna aveva fatto in tempo a sotterrarla impilata in un grande baule. Quando la guerra finì il baule tornò alla luce. Il corredo di mia madre aveva numerose macchie di ruggine, che spiccavano sul bianco di lenzuola e tovaglie. Macchie indelebili, a memoria della guerra.

martedì 21 settembre 2010

Dwarahat : Il sogno prima della partenza


La notte prima della partenza da Dwarahat feci un sogno.

Sto salutando Swamj Sharananda Giri. ( E’ sicuramente uno Swami, non ricordo se fosse proprio lui). Mi inchino per baciargli i piedi in segno di rispetto e di saluto, come si usa fare in India, e mi metto a piangere. Devo partire. Lui rialza la mia testa, pone affettuosamente le mani sul mio capo , sulle spalle e dice:”Perchè piangi. Asciuga le tue lacrime. Il tuo cattivo karma sta per finire”. Mi alzo in piedi e mi saluta baciandomi sulla guancia. La cosa mi lascia stupita e felice . Ci sono altre persone. Mi sveglio.


Raccontai il sogno a Swamij. Per la prima volta non commentò e cambiò argomento. Era preoccupato per la mia partenza. (Il taxi che avevo prenotato per il ritorno arrivò con un’ora di ritardo, avevo un volo prenotato a Delhi) . Swamji prima di salutarmi mi disse: “Quando vieni il prossimo anno, scrivi prima. Sii calma!”


Ma non ci sarà un altro viaggio per Dwarahat . Non incontrerò più Swami Sharananda Giri. L’anno successivo, per problemi di salute, non riuscii a partire e Swamji quello stesso anno morì.

Swami Sharananda Giri: il vero amore

Il vero amore non è passione, né attaccamento. L’attaccamento è più naturale in una madre che ha portato in grembo il figlio e gli è stata vicina i primi anni. Responsabilità vuol dire disciplina. Bisognerebbe sposarsi quando si capisce il dovere e la responsabilità insiti nel gesto. Sentire la disciplina e l’equilibrio. Sviluppare le qualità divine per andare nella giusta via. Essere umili. Ghandi, grande anima, era umile.


I genitori non dovrebbero mai discutere davanti ai bambini, né prendere la parte dei figli contro l’altro genitore. Giocare con i bambini, intrattenerli, insegnare loro la disciplina. Per esempio: “Chi sta fermo dieci minuti vince la cioccolata”.


Leggere le storie legate alla propria cultura, alla propria tradizione, ma che siano istruttive, che insegnino i sani principi.


Non fare ai figli troppi regali, soltanto in alcune particolari feste, come il compleanno, il Natale. Non comprare tutto quello che chiedono. Aiutare i figli a seguire gli studi, ma quando smettono di studiare e hanno terminato l’Università lasciarli andare:”La porta è aperta”. Devono rendersi autosufficienti.


Se un figlio dice : “Se non mi aiuti (ovvero non mi dai soldi) vuol dire che non mi ami”, bisogna rispondere:” Quanti soldi mi dai perché io possa valutare il tuo amore?”. Questi alcuni consigli di Swami Sharananda Giri

lunedì 20 settembre 2010

Swami Sharananda Giri:il lavoro

Il lavoro, qualunque esso sia, (in casa o fuori) è un dovere. Il lavoro deve essere fatto come un servizio senza attaccamento al denaro, al successo. Non deve essere visto come una punizione. In questo caso diventa pesante. Questa è la risposta di Swami Sharananda Giri a una delle ragazze tedesche, ospiti dell’ashram, che si lamentava di perdere troppo tempo a cucinare e a badare ai bambini e, di conseguenza, di non avere tempo sufficiente per meditare. I lavori domestici non devono essere visti come un lavoro faticoso e inutile.(devo pulire casa, devo cucinare, non posso meditare). Qualunque cosa si fa , si fa per Dio. Pulire la propria casa, come se dovesse arrivare un ospite importante. E’ Dio che ci visita nella nostra casa, nel nostro cuore.


Disciplinare se stessi creando una routine e seguirla scrupolosamente, perché se si rompe una volta si può rompere sempre, ripeteva Swamji. Nel lavoro bisogna essere onesti, non esiste un piccolo reato o un grande reato, esiste soltanto il reato.


Pianificare la propria vita. Scegliere uno scopo, studiare attentamente tutto ciò che può aiutarci a raggiungere l’obiettivo, con discriminazione, e poi camminare per la retta via.


Mai diventare negativi. E’ la coscienza che fa da tramite con Dio.


Un giorno Swami mi fece andare in cucina per vedere come si preparano le chapati, il tipico pane indiano senza lievito. Ripeteva :”Cucinare da soli il cibo è importante”. Ecco la ricetta per le Chapati: farina + acqua. Dopo aver amalgamato i due ingredienti trasformarli in una palla, lasciarla riposare per mezz’ora, dividerla, stendere le varie chapati, ripassarle nella farina e cuocerle su una piastra bollente.

Swami Sharananda Giri: l'amicizia,le religioni

L'amicizia

Divina amicizia significa aiutarsi senza egoismo, senza attaccamento, evitando le futili chiacchiere del mondo. Non c’è bisogno di avere molti amici. Ne basta uno solo vero. Ci vogliono anni per capire un figlio, che cosa si può conoscere di una persona incontrandola qualche volta per una cena?,diceva sorridendo Swami Sharananda Giri.


Non bisogna essere troppo attaccati agli amici, non bisogna sapere tutto; la familiarità può trasformarsi in mancanza di rispetto. Mantenere sempre una certa distanza. Dire sempre la verità, senza falsi formalismi. Se arriva la telefonata di un amico mentre stai cucinando basta dire semplicemente:” In questo momento ho da fare. Richiamami più tardi”.



Le religioni

Il problema non è in quale religione siamo nati. Le religioni spesso sono dogmatiche, legate ai rituali. Se non si sente il bisogno di andare in chiesa non c’è problema. L’importante è seguire Dio attraverso le propria conoscenza diretta, attraverso un sentiero spirituale che ci porti direttamente a lui, un sentiero scientifico, provato, come quello di Yogananda. I sacerdoti sono intermediari di Dio e le Chiese spesso servono per fare soldi.


Il miglior ritiro spirituale è quello che si crea dentro di sé. Chiudi gli occhi e medita,mi diceva, non è importante dove sei. Non c’è bisogno di venire a Dwarahat,in India. Puoi crearti il tuo ritiro spirituale ovunque, in casa, in giardino.


Solitudine non significa stare soli evitando gli altri. Solitudine è meditazione. Non significa allontanarsi dai problemi, perché i problemi ce li portiamo dietro, ovunque siamo.


Abbandonarsi a Dio. L’uomo perfetto è quello che cerca di purificare ogni aspetto della propria vita.

domenica 19 settembre 2010

Swami Sharananda Giri: perle di saggezza


Il proselitismo

Durante uno dei nostri incontri Swami Sharananda Giri affrontò il tema del proselitismo.“Non bisogna fare proseliti.-disse- L’SRF non ha bisogno di propaganda. I devoti vengono da Dio e dal Guru. L’emozione e l’entusiasmo portano a fare proseliti. E’ sbagliato. Non imporre niente a nessuno, tanto meno una scelta spirituale. Vivere con discrezione la propria via. Non c’è bisogno di mettere altarini ovunque per attrarre l’attenzione. Non si possono obbligare parenti e amici a seguire la propria strada.”


E’ facile cambiare il proprio stile di vita amava ripetere Swami Sharananda Giri. ”Distogli la mente dal mondo e mettila in Dio. “ Pick up your mind from the world e put it in God”. E’ così semplice. “It is so simple”. Corretta azione e meditazione. Bastano queste due cose per realizzarsi.



La cultura


Le migliori compagnie non sono umane, sono i libri scritti da grandi anime, ma non c’è bisogno di leggersi la vita di tutti i santi, basta seguire gli insegnamenti di Yogananda, disse un giorno Swami Sharananda Giri. Ma non basta leggerli, bisogna “sperimentare” in prima persona quello che c’è scritto. Allora, la fede si sviluppa e cresce.


Ursula,una delle ospiti dell’ashram, chiese se c’era differenza tra il monaco rinunciante e la vita spirituale di un laico. Swamji rispose di no:”Dipende da quanto progredisci nella vita spirituale- spiegò- Yogananda era un rinunciante, ma Rajarsi Janakananda era uno che viveva nel mondo.”


E per semplificare meglio il concetto Swamij ci parlò di una donna con 13 figli, sempre attiva, sempre generosa e devota. Nonostante tutte le incombenze familiari, tutti i giorni faceva due chilometri a piedi per pregare il suo guru. Una grande anima, eppure non era una monaca, concluse.


I musicisti di Brema

Durante uno dei miei soggiorni nell’ashram (Yss-Srf) di Dwarahat, in India, Ursula, una ragazza tedesca anche lei devota di Yogananda, ci raccontò la favola dei musicisti di Brema, dei Fratelli Grimm. Una favola che non conoscevo. Ecco la storia.



Un povero asinello vecchio, bistrattato da tutti, cacciato dal padrone s’incammina sulla strada per Brema. Pensa: voglio fare il musicista. Voglio cambiare la mia vita. Sulla strada incontra un cane che ha i suoi stessi problemi. Il padrone non lo vuole più perché troppo vecchio e incapace di seguirlo a caccia. L’asino dice al cane:”Vieni con me a Brema. Diventeremo musicisti.” Dopo un tratto di strada incontrano un gatto, anche lui vecchio e spelacchiato, che si unisce alla compagnia. E lungo la strada vedono un gallo che si lamenta su un trespolo: “Ahimè!, mi vogliono cucinare. Sono disperato.” “Unisciti a noi, andiamo a Brema a fare i musicisti. Vedrai che cambierà la nostra vita”, dicono gli altri.


L’asino, il cane, il gatto e il gallo s’incamminano per raggiungere Brema ma strada facendo sopraggiunge la notte. Decidono così di fermarsi ai margini della foresta e proseguire il giorno dopo. Asino e cane si sdraiano sotto un albero, il gatto su un ramo e il gallo in cima all’albero. Dalla posizione più alta il gallo rivela ai suoi compagni: “Vedo una luce, è una casa. Andiamo in quella direzione. Passeremo almeno la notte al coperto”. I quattro animali si muovono e arrivano nei pressi della casa. L’asino si avvicina ad una finestra, il cane sale sull’asino, il gatto sul cane e il gallo sul gatto. ( A Brema esiste una statua che li rappresenta in questa posizione). Il gallo sbircia dentro e vede alcuni uomini che stanno mangiando cose deliziose, mentre loro hanno una gran fame. Riferisce ai compagni quanto ha visto e tutti insieme decidono di fare un concertino. Chissà -pensano- se piacerà agli abitanti della casa forse ci daranno qualcosa da mangiare. Così cominciano a cantare: Io io, Bau bau, Miao miao, Chicchirichì.


L’ improvviso trambusto spaventa invece gli uomini che fuggono fuori gridando:”Aiuto, i fantasmi.!” Ne approfittano gli animali che entrano e mangiano tutto quello che trovano sulla tavola. Alla fine del lauto pasto si sistemano per la notte. Asino e gatto davanti al camino, il cane davanti alla porta e il gallo sul trespolo esterno.


Uno degli uomini ( era una combriccola di ladri) decide di tornare indietro per verificare se dentro la casa ci siano realmente i fantasmi. Quando entra si avvicina al fuoco, vede due puntini rossi (sono gli occhi del gatto), li tocca e il gatto lo graffia dappertutto. Scappa così verso la porta e il cane gli morde i polpacci, oltrepassa la porta e il gallo canta chicchirichì ma lui capisce :”Vattene via, vattene via”.

Il ladro spaventatissimo torna dai suoi compari e racconta che la casa è infestata davvero dai fantasmi, così i briganti decidono di abbandonarla e di non tornarci mai più. Da allora i quattro animali vissero felici e contenti e ogni tanto si divertivano a fare un concertino.


Quale è la morale della favola ? Forse che la creatività e la determinazione aiutano a superare tutte le difficoltà, anche la vecchiaia e la solitudine.

martedì 14 settembre 2010

L’età dell’oro

Il libro di Gore Vidal “L’età dell’oro” affronta la storia americana prima e dopo la seconda guerra mondiale, ne fa una ricostruzione puntigliosa e documentata. Il destino dell’umanità è in mano a poche persone, spregiudicate, a volte incapaci del loro ruolo, che per i loro intrighi mettono a repentaglio la vita di milioni di esseri umani. In fondo, è sempre un maledetto gioco di potere. E, purtroppo, la storia si ripete.


Il dialogo e un profondo scambio culturale possono eliminare, in parte, le radici della rabbia e della disperazione che sono alla base del terrorismo. Nei giorni successivi alla tragedia dell’11 settembre 2001 centinaia di musulmani, forse migliaia, scesero in piazza in alcuni paesi del medio oriente per manifestare la loro esultanza per la tragedia che aveva colpito gli Stati Uniti d’America. Una netta minoranza, rispetto ai milioni di persone di fede islamica che non amano mischiare Dio con la violenza. Ma è stato, comunque, un episodio grave e inquietante che dimostra quanto cammino deve ancora fare l'umanità per garantire una pacifica convivenza tra le nazioni e, nello stesso tempo, la sopravvivenza del nostro pianeta.



sabato 11 settembre 2010

Osama Bin Laden


E di Osama Bin Laden nessuna traccia. Si dice che sia morto, che sia malato e abbia trovato rifugio tra le montagne ai confini con il Pakistan. Più probabilmente è morto, era malato. Da molto tempo non compare in nessun video, ultimamente si è sentita la sua voce minacciosa, ma può essere frutto di manipolazioni radiofoniche.


Gli ultimi video ci mostrano Bin Laden vestito con una giacca mimetica americana e un orologio occidentale. Ha mani delicate con lunghe dita sottili. Il suo volto potrebbe apparire ascetico. Ma quello che rivela il suo carattere è lo sguardo duro, inquietante, determinato. Un miliardario che ha vissuto per anni in occidente, poi il desiderio di potere, l’ambizione di diventare il capo carismatico di tutti i mussulmani lo hanno trasformato in un pericoloso fondamentalista, nel nemico numero uno degli Stati Uniti e di tutto l’Occidente.


E il presidente Barack Obama lo ha ricordato oggi durante una cerimonia di commemorazione: catturare vivo o morto Osama Bin Laden, considerato il cervello dell'attentato dell'11 settembre 2001, è una priorità dell' amministrazione USA.


Nel nome di Dio si giustifica un massacro

Tra i bagagli di Mohammed Atta, considerato il capo degli attentatori delle Twin Towers, c’era una delirante lettera di cinque pagine. Egli parla continuamente di Dio e termina il suo scritto così:”Non c’è altro Dio che Dio. Non c’è nessun Dio che sia il Dio del trono più alto, non c’è altro Dio che Dio, il Dio della terra e del cielo. Non c’è altro Dio che Dio e io sono un peccatore. Siamo di Dio e a Dio torniamo”. Come si può compiere un gesto così orrendo, che ha provocato la morte di migliaia di persone, in nome di Dio.?


Mohammed Atta all’inizio della sua lettera scrive: “Nel nome di Dio, il più misericordioso, il più compassionevole. Nel nome di Dio, di me stesso e della mia famiglia. Ti prego, Dio perdona tutti i miei peccati e concedimi di glorificarti in ogni modo possibile. Ricorda la battaglia del profeta contro gli infedeli, quando cominciò a costruire lo stato islamico”. E’ proprio alla vita di Maometto — che è stato anche un grande guerriero, e come ogni condottiero dietro di sé ha lasciato migliaia di morti — che sembrano ispirarsi i terroristi nella loro guerra “santa” contro l’occidente.


Gesù, il Bhudda, queste due grandi figure mistiche che tutti amano, non hanno mai predicato la violenza, sono stati nella loro vita coerenti con quanto dicevano. Hanno insegnato agli uomini del loro tempo il valore dell’amore, della fratellanza, della compassione, del rispetto, della tolleranza, mentre ritroviamo nella biografia di Maometto un periodo storico nel quale lui vive combattendo, conquistando città, razziando, uccidendo.


I fondamentalisti giustificano le loro azioni violente parlando di guerra santa, la guerra contro gli infedeli, come facevano un tempo i crociati. L’eterna lotta tra il bene e il male. Porgere l’altra guancia? Questa può essere soltanto una scelta individuale. Quando è una nazione intera ad essere minacciata, quando sono in pericolo la libertà e la convivenza civile, si deve assistere impotenti? E’ possibile giustificare la decisione dell’ ex presidente Bush di bombardare l’Afghanistan e l’Iraq? A distanza di tanti anni possiamo dire che quella fu una scelta infausta che ha portato dolore e morte a migliaia di americani e a centinaia di migliaia di cittadini innocenti di quei paesi.

11 settembre 2001

Per giorni, per settimane ho vissuto con un peso sul cuore e una cappa grigia di piombo sembrava aver ricoperto tutta la terra. Dove si ergevano le due torri c’era una luce sinistra e in quel globo luminoso vedevo fluttuare migliaia di corpi astrali. Anime strappate brutalmente alla vita e un grido straziante di paura, di angoscia saliva dalla polvere al cielo.


Era il mio primo giorno di lavoro dopo le ferie estive. Un primo flash di agenzia, poi abbiamo acceso la CNN e siamo rimasti per ore incollati davanti alla televisione con un senso di impotenza, di orrore. I kamikaze delle Twin Tower avevano spazzato via con quel gesto criminale, folle, anche tutte le nostre certezze e ci ritrovavamo più fragili, più insicuri. Eravamo coscienti che la nostra vita sarebbe cambiata per sempre. Noi occidentali abbiamo vissuto in questi ultimi venti anni un periodo di relativo benessere, dominati dal consumismo e dall’egoismo. Abbiamo dimenticato i poveri della terra, le ingiustizie e le tante piccole atroci guerre sparse sul nostro pianeta. Forse una maggiore solidarietà e un profondo scambio culturale possono eliminare le radici della rabbia, della disperazione, che alimentano anche il terrorismo.

Mi chiedo: quell’undici settembre 2001, alle ore otto e quarantacinque, dove volgeva lo sguardo Dio?

lunedì 30 agosto 2010

Swami Sharananda Giri: L’amore materno


Durante i miei soggiorni a Dwarahat (YSS-SRF) ho parlato molte volte con Swami Sharananda Giri dei miei doveri di madre e della difficoltà di dover fare da madre e da padre a mio figlio. Swamji mi ascoltava e mi dava molti consigli . Per farmi capire quanto può essere assoluto e distruttivo l’amore materno mi raccontò due storie.


Una donna viveva con il suo unico figlio. Quando questi s’innamorò follemente di una ragazza, la madre disse ai due fidanzati: “Questa è la mia casa , qui comando io”. La ragazza le rispose: “Se sposo tuo figlio qui comando io”. La ragazza un giorno chiese al giovane di portarle il cuore della madre. E lui lo fece materialmente. Uccise la madre e le portò via il cuore. Mentre stava andando a incontrare la ragazza, per portarle in dono il cuore della madre, inciampò, cadde per terra e il cuore gli sfuggì di mano. Il cuore cominciò a parlargli: ”Figlio caro, sono pronta a morire per te cento volte; ma tu ti sei fatto male?”


A proposito dell’attaccamento materno , Swami Sharananda Giri raccontò un’altra storia: due donne sono ai giardini pubblici, chiacchierano tranquillamente tra loro mentre i figli giocano. Uno dei due bambini si fa male e un altro ragazzino va ad avvertire le due donne. Queste immediatamente si precipitarono verso i propri figli per controllare cosa è successo. Una, preoccupata, guarda le ferite del figlio, l’altra dice a se stessa:”Per fortuna non è capitato al mio”.


I figli vanno educati quando sono piccoli e teneri da cambiare, dopo è troppo tardi. Sarà Dio a occuparsi di loro, mi disse un giorno Swami Sharananda Giri. E come figura positiva mi parlò con calore della sua nonna, una donna forte e coraggiosa che metteva pace tra tutti, molto religiosa. Abituava i nipotini, fin da piccoli, a meditare. E’ morta a 96 anni, nel 1952, poche ore dopo aver salutato Swamji che si recava al suo reggimento.