Anche la morte di mio padre è stranamente legata a un viaggio inaspettato. Era finita da pochi mesi una storia d’amore importante, la più importante della mia vita, ero sola con mio figlio, senza lavoro, senza una lira, con uno sfratto in corso, quando lui ci lasciò nel giro di pochi giorni a sessantasei anni. Era il 1982. Il cuore mi scoppiava dal dolore, dovevo digerire due lutti e continuare a vivere. Un’impresa che mi sembrava impossibile. Credevo di impazzire, accettai così il prestito di un amico — ero disoccupata e piena di debiti — e partii dopo pochi giorni per l’India con un’amica che aveva già programmato da tempo il suo viaggio. Vedere l’India che tanto amavo non diminuì la mia sofferenza, ma quel viaggio mi regalò un’esperienza di Luce, che forse doveva rafforzarmi interiormente per affrontare le prove che sarebbero seguite da lì a poco.
Mi ammalai subito a Katmandu. Tornai in Italia, subii un’operazione, l’anestesia indebolì il mio fisico già provato, per anni si susseguirono varie malattie, l’asma mi impedì di respirare e dormire per molto tempo. Non riuscivo nemmeno a piangere, perché il respiro si spezzava in gola. Ho impiegato molti anni per recuperare un po’ di salute e una vita quasi normale. Ma poi sono venuti altri problemi. Ho sempre la sensazione di stare in prima linea, che non mi sia mai concesso un po’ di pausa per rifugiarmi nelle retrovie. Ed è forse per questo che a volte sono presa dal desidero di lasciarmi andare, pur temendo la morte spesso l’ho desiderata; ma c’è sempre qualcuno o qualcosa che mi costringe a continuare.
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