“ La paura è uno dei problemi più grandi della vita. Una mente intrappolata dalla paura vive nella confusione, nel conflitto, ed è perciò costretta a essere violenta, distorta, aggressiva “. Krisnamurti
Una sensazione di paura, di angoscia, di pericolo, accompagna da sempre la mia vita e, a volte, riaffiora in modo sconvolgente nei miei sogni (ambientati tutti nella casa di campagna dei nonni materni), popolati da mostri, animali feroci, dischi volanti, tornado e cadaveri che emergono dal fango. Ce n’è uno in particolare, invece, che potrebbe essere un ricordo reale. Dovevo avere circa un anno. Sono nascosta sotto un tavolo, da cui pende una larga tovaglia bianca, con un mio cuginetto, di un anno più grande di me. Ad un certo punto si alza la tovaglia e noi vediamo due enormi stivali neri, quelli di un ufficiale tedesco che si china per offrirci due zollette di zucchero.
Per alcuni mesi ho vissuto realmente nella casa dei nonni materni (che si trovava sulla linea del fronte di Cassino, a pochi metri dalla via Casilina), mentre in lontananza risuonavano i bombardamenti. Eravamo fuggite da Roma- sarebbe più giusto dire mia madre era fuggita da Roma con me in braccio- dopo il tragico bombardamento di San Lorenzo, il 19 luglio del 1943. Abitavamo al quinto piano, senza ascensore, e quando suonava l’allarme - così mi raccontò mia madre- a volte i miei decidevano di non scendere al rifugio di piazza Dante. Si fermavano da amici al primo piano. Ma dopo il bombardamento, con migliaia di morti e feriti, mio padre decise che saremmo state più al sicuro in campagna e, soprattutto, io avrei potuto mangiare qualcosa di più di una semplice minestrina di crusca. La realtà che trovammo al nostro arrivo era però ben diversa.
L’edificio era stato sequestrato da un comandante tedesco, che vi aveva installato il suo quartiere generale. Nel 1957 l’ufficiale tedesco- si chiamava Karl ed era diventato un deputato della CDU- tornò a trovare mia nonna, con la moglie e i due figli. La nonna Marietta era una donna molto energica e coraggiosa. Aveva in mano le redini della famiglia e della casa. E come tutte le donne di campagna si faceva voler bene. Il marito- mio nonno- era emigrato in America e veniva a trovarla ogni dieci anni lasciandole nel grembo un figlio.
Il deputato Karl tornò in Italia in vacanza due, tre volte portando sempre a mia nonna dei doni, quasi per scusarsi di ciò che la guerra, voluta da altri, lo aveva costretto a fare, violentando la vita di una semplice famiglia di contadini, che si erano ritrovati senza casa, finiti in un vecchio rudere, e con poche cose da mangiare, perché farina, polli e conigli servivano per il comando tedesco. La biancheria, invece, mia nonna aveva fatto in tempo a sotterrarla impilata in un grande baule. Quando la guerra finì il baule tornò alla luce. Il corredo di mia madre aveva numerose macchie di ruggine, che spiccavano sul bianco di lenzuola e tovaglie. Macchie indelebili, a memoria della guerra.
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