Mi piacerebbe affrontare molti temi con voi, temi che riguardano la nostra vita quotidiana e la nostra vita interiore. Il bisogno di spiritualità , la ricerca di Dio è presente in tutte le epoche della nostra storia e in tutte le culture. E’ come un filo sottile che corre lungo il fiume della nostra esistenza. Un filo sotterraneo di cui spesso non ne siamo consapevoli ma, a volte, riaffiora dalle profondità e le sue acque sgorgano per dissetarci. Non ho certezze, piuttosto tantissimi dubbi. Vi propongo alcune mie riflessioni ed esperienze, che spero possano aiutarvi nel cammino della ricerca.
L’esistenza di Dio
Da millenni l’uomo si pone mille interrogativi sulla sua esistenza, su Dio, sull’aldilà. E da millenni filosofi e mistici cercano una risposta. Tentare di capire l’uomo, i suoi dubbi, le sue sofferenze, è già un’impresa difficile. Ma con quale animo ci avviciniamo a Dio? È giusto tentare di svelare il suo segreto?
La preghiera
La preghiera è quel filo sottile che attraverso i millenni ha unito l’uomo al divino. In tutte le religioni esiste da sempre la figura dell’asceta che sceglie di isolarsi dal mondo per cercare nella contemplazione un dialogo diretto con L’Assoluto. Oggi, ha ancora senso questa scelta? Non si può pregare continuando a vivere nel mondo? Anzi, non è proprio la sofferenza quotidiana il nostro modo migliore di pregare?
La vocazione religiosa
La fede è un dono divino? In una società percorsa da fremiti autodistruttivi ha ancora senso oggi farsi monaco? Il monaco, nell’isolamento dell’eremo, impegna tutte le sue energie per realizzare se stesso, per santificare la sua persona. Il sacerdote, invece, è costretto dalla sua funzione pastorale a vivere tra la gente; mette la sua vita e il suo tempo a disposizione del popolo di Dio. Il sacerdote e il monaco hanno entrambi gli stessi voti di castità, povertà e umiltà. Ciò che distingue le due vocazioni religiose, quindi, sta proprio nel vivere questa scelta in solitudine o in mezzo agli altri.
Chi sceglie la vita monastica preferisce la solitudine dell’eremo al contatto continuo e contaminante con la vita. La meta è la propria santificazione. Questa può diventare più importante dell’amore e della carità per il prossimo. Non c’è il rischio, in queste condizioni, di alimentare l’ego, l’orgoglio spirituale?
Avalokiteshvara, il bodhisattva per eccellenza del buddismo mahayanico, è il realizzato che sceglie di reincarnarsi e di tornare sulla terra unicamente per aiutare gli altri esseri viventi. Egli ama tutti come fossero suoi figli. La compassione è la molla che lo spinge ad abbandonare la sua pace e la sua felicità personale per condividere le sofferenze degli altri.
Dio sceglie tutti?
Nella vita di tutti i giorni possiamo incontrare persone che hanno la fortuna di avere la fede; poi ci sono gli atei che non si pongono il problema e, infine, quelli che sono a metà del guado: vorrebbero tanto sentire questa “chiamata interiore” ma non la sentono. Queste persone soffrono perché vorrebbero avvicinarsi a Dio, avvertono un impulso interiore, ma si sentono soli e abbandonati perchè non arriva nulla a scaldare il loro cuore. A volte l’angoscia è così forte che toglie il respiro, altre volte è la rabbia che scuote il corpo, oppure è lo sconforto e la passività a prendere il sopravvento. Come se non ci fossero più lacrime per piangere, in attesa di una risposta che non arriva.
Vuol dire che queste persone non riescono a farsi sentire da Dio, o che Dio è sordo, disattento, troppo occupato a gestire l’Universo per rispondere? Oppure, più semplicemente, che Dio non esiste perché è soltanto una nostra creazione, la proiezione di un nostro desiderio spirituale, un nome per coprire un vuoto che ci spaventa?
“Dove ti sei nascosto, Amato, abbandonando me gemente? — scrive san Giovanni della Croce —. Come il cervo fuggisti, dopo avermi ferita; uscii invocandoti e te n’eri andato”.
Ma è Dio che sceglie gli uomini o sono gli uomini che scelgono Dio? Se non si è scelti non si fa parte della classe degli eletti . E se è Dio che sceglie gli uomini come non sentirsi frustrati, dimenticati, non amati? E l’insicurezza può generare violenza, odio, fanatismo. I fondamentalisti non amano Dio, quel Dio che invocano prima di una strage. Dio, se esiste, non può che essere simbolo di pace e amore.
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