sabato 13 marzo 2010

l'incontro con una lebbrosa

L’incontro con una lebbrosa

Voglio raccontare l’incontro con una lebbrosa, la storia di una fotografia mancata. Ero a Varanasi, città sacra sulle rive del Gange. Avevo girato con il taxi tutto il giorno alla ricerca della casa di Lahiri Mahasaya, il santo yoghi, che ha avuto una famiglia, dei figli, ha lavorato in un ufficio come un semplice mortale. Avevo comprato molti libri e non mi era rimasto in tasca che qualche centesimo. Mi ero fermata per vedere un tempio. Con molta discrezione si avvicinò una giovane donna che teneva tra i due moncherini fasciati una ciotola di latta per le elemosine. Le diedi gli ultimi spiccioli rimasti e proseguii il cammino, portandomi dentro il suo sorriso, il suo sguardo luminoso e raggiante.

Non riuscivo a dimenticarla ed ero rammaricata di non averle potuto dare di più. I negozi erano chiusi, le banche erano chiuse. Non potevo cambiare i travellers cheque. Ci fermammo all’università di Varanasi. L’autista del taxi incontrò un suo amico e collega e gli chiese un prestito per me. Con cento rupie in mano tornai dove avevo lasciato la donna. La ricordavo giovanissima, con questo suo sorriso dolcissimo. Mentalmente mi dicevo : devo incontrarla di nuovo perché possa darle un piccolo aiuto, perché il nostro incontro non sia stato vano.

Sedute sulle scale del tempio c’erano due donne. Non riuscivo più a ricordare il suo volto, perché mi era rimasto impresso soltanto il suo sguardo, quel suo sorriso così luminoso che l’aveva resa ai miei occhi bellissima e giovanissima. Aveva invece il volto segnato. Si avvicinò di nuovo, le misi nella ciotola le cento rupie e lei mi restituì lo stesso identico sorriso. Una rupia e cento rupie erano per lei la stessa cosa, aveva accettato con sereno distacco le due offerte. Eppure per lei quella era una cifra considerevole. Ci disse che era sposata e aveva un bambino di tre anni.

Questo incontro è stato per me una grande lezione di vita. Noi occidentali abbiamo tutto e siamo infelici e disperati, lei non aveva nulla eppure emanava una grande gioia interiore. Avrei voluto fissare con la macchina fotografica quel suo volto radioso ma non ho osato farlo per rispetto della sua persona e della sua malattia. Avrei dovuto abbracciarla, ma non ho avuto il coraggio di Madre Teresa di Calcutta che cura i lebbrosi. Forse ero soltanto una generosa turista occidentale che, per lavarsi la coscienza di fronte alla sofferenza altrui, dà un’elemosina più consistente. Mi sono resa conto che quello che io avevo dato a lei era ben poco di fronte alla lezione di vita che questa donna mi aveva regalato.


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