La Divine Life Society
Nel 2000 visitai l’ ashram della Divine Life Society, fondato da swami Shivananda a Rishikesh. Nel 1963, dopo la morte di Shivananda, la responsabilità della società passò a Swami Chidananda, considerato dagli adepti un buddha vivente. Quando arrivai a Rishikesh lo swami non c’era, come sempre era in giro per il mondo per predicare la chiave della felicità, con il suo stile semplice ed umile. Lo incontrai anni dopo in Italia e mi colpì per la pace e la serenità che emanava. Swami Chidananda lasciò il suo corpo (mahasamadi) il 28 agosto 2008.
Quella settimana di soggiorno nell’ashram di Rishikesh fu un’esperienza indimenticabile, che mi segnò profondamente. Ero piena di paura, sofferente, ammalata, chiusa in una ruvida stanza senza confort, in pieno monsone. Una bronchite con febbre alta e una labirintite mi impedirono di proseguire il viaggio. Anche il più piccolo movimento mi provocava un effetto vertigine: pareti e soffitto giravano vorticosamente impedendomi di alzarmi. Ero appena arrivata, ero chiusa nella stanza, quando cominciai a sentirmi male; soltanto la sera riuscii a strisciare sul letto e ad aprire la porta alla signora americana, che da anni viveva nell’ashram, nella stanza accanto. Lei organizzò la mia sopravvivenza e fui salva. Un giovane indiano mi portava due volte al giorno il cibo dalla mensa con dei contenitori di acciaio e mi riforniva di acqua minerale e di medicine omeopatiche.
Nella stanza, molto spartana, dove vivevo non c’era un bagno. Un gabinetto, con lavandino e water, era nel corridoio. Pochissime camere, riservate ai residenti, avevano la fortuna di un gabinetto interno. Qualche volta nel corridoio era possibile incontrare delle scimmie che rovistavano nelle pattumiere. Entravano dal terrazzo, quando qualcuno lasciava inavvertitamente la porta aperta. Soltanto alla fine del soggiorno riuscii a salire sul terrazzo al tramonto. Uno spettacolo bellissimo: migliaia di lucciole adornavano i rami degli alberi, erano come tanti alberi di Natale, pieni di luci intermittenti. Eppure eravamo sulle sponde del Gange, ai piedi dell’Himalaya.
Infine, debolissima e ancora febbricitante, mi rimisi in piedi per proseguire il viaggio. Prima di partire e raggiungere Delhi con un taxi, dove avrei preso l’aereo che mi riportava in Italia, andai a fare una breve passeggiata sul ponte che unisce le due rive del Gange. La labirintite non era ancora del tutto risolta e sotto i miei piedi il ponte oscillava paurosamente .
Avevo vissuto per giorni con un senso di solitudine, precarietà e morte. Tornai cambiata, come ogni volta che viaggio in India. Quando entrai nel mio appartamento mi sembrò diverso, estraneo, pieno di cose superflue, inutili. Impiegai parecchio tempo prima di superare l’angoscia che mi procurava il rumore della pioggia. Per una settimana avevo vissuto con il rumore violento e insistente del monsone che batteva giorno e notte sui vetri spogli della mia cameretta, che aveva il cemento come pavimento. Un materasso di crine copriva la brandina , un piccolo tavolo e una sedia completavano l’arredamento. Semplici disagi che ci riportano alla vera essenza della vita. In realtà, si può fare a meno di tutto. Si può vivere di privazioni e stenti e si può essere sereni. Il lusso, le comodità in cui viviamo non ci rendono felici.
La potenza del pensiero
aiuta il destino.
L’uomo semina un pensiero
E raccoglie un’azione;
semina un’azione
e raccoglie un’abitudine;
semina un’abitudine
e raccoglie un carattere;
semina un carattere
e raccoglie un destino.
L’uomo costruisce il suo avvenire
con il proprio pensare e agire.
Egli può cambiarlo
perchè ne è il vero padrone.
Swami Shivananda
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