“Il
modo migliore per catturare un serpente e altri sutra”. Titolo insolito
per l’ultimo libro di Thich Nhat
Hanh (pubblicato da Ubaldini Editore).
Il maestro vietnamita, con
il suo stile semplice e avvicente, ci porta per mano attraverso la pratica del Buddhismo. Quelli che seguono sono
i concetti che più mi hanno colpito.
Il
serpente è l’insegnameno del Buddha. Bisogna afferrarlo bene altrimenti
morde.Tutto inizia da un bhiksu, Arittha, che afferma convinto agli altri
monaci:” Credo che il Buddha non consideri i piaceri dei sensi un ostacolo alla
pratica.” E il libro spiega perché Arittha ha interpretato male il pensiero del Buddha.
Il
Buddha dice ai suoi discepoli che la pratica del Dharma non esclude il piacere
di una brezza o di un tramonto. Godere delle cose con moderazione non provoca
sofferenza, non ci lega ai vincoli dell’attaccamento.
Il
Buddha insegna l’impermanenza, il
non sé, la vacuità, il nirvana, non come teorie, ma come abili mezzi che aiutano la pratica. Non sono la
verità assoluta, dice. Sono come
un dito che indica la luna, pertanto non sono la luna. Lo scopo principale del
sutra è dimostrare la necessità di spezzare le catene dell’attaccamento. Essere
attaccati a qualcosa, compresi gli insegnamenti, è un ostacolo al progresso.
Gli insegnamenti buddhisti
inducono a sviluppare la comprensione e la compassione.
Per
spiegare il non sé, Tich Nhat Hanh ricorda che non esiste una sola cosa
immutabile, tutto si trasforma.
Gli antichi Veda e le Upanishad sostengono invece che esiste un piccolo
sé immutabile in ognuno di noi e la liberazione si raggiunge quando il piccolo
sé si fonde con con il grande Sé, o Brahman. Secondo l’induismo ognuno di noi
ha un sé divino (Atman) che è eterno e parte di un grande Sé divino (Brahaman).
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