Partenza da Allahabad
per Varanasi. Si esce dall’area adibita al Kumbh Mela con meno difficoltà dell’arrivo.C’è
meno traffico dell’andata. Molti pellegrini e turisti,dopo il 10 febbraio, il
giorno più importante per la festa religiosa, sono già partiti per tornare a
casa.
La strada che
porta a Varanasi è moderna, divisa da un spartitraffico dove sono stati
piantati degli arbusti, cespugli verdi, alcuni rigogliosi, altri già morti
nell’incuria totale, in mezzo a resti di cartacce e rifiuti. Ai lati delle
strade ci sono abitazioni povere, fatiscenti, altre con pretese modeste a due piani. Lungo la strada,
come in ogni parte dell’India, si trovano
baracche che vendono tè, acqua minerale, cibo.
Il governo indiano ha iniziato una campagna di
riforestazione. Ai lati della superstrada che porta a Varanasi tanti cubi di
mattoncini rossi proteggono i nuovi alberi appena piantati. Alcuni sono già ripiegati su se stessi,
forse già morti per mancanza d’ acqua, altri sembrano robusti e si avviano a
crescere alti. Ma ci vorranno
decenni perché riescano ad ombreggiare
la strada e la campagna riarse dal caldo e dalla sete.
Torno a Varanasi per la terza volta, la prima è stata nel
1980, la seconda nel 1991 e la terza quest’anno. Dalla prima volta sono passati
più di trent’anni. Varanasi non è cambiata, la città santa conserva tutto il
suo fascino, i ghat, le scalinate che portano al Gange, le antiche costruzioni
che costeggiano il fiume, le stradine strette, i mille negozi, tutto sembra rimasto immutato nel tempo. Quello che è mutato in trent’anni è il
traffico. Lo ritrovo in città, caotico, frenetico, i clacson suonano in
continuazione e creano un rombo assordante. Le auto devono sostare ai limiti
del centro storico in appositi parcheggi. In una mezz’ora si arriva a piedi ai
primi ghat.
E’ sempre molto bello
percorrere il Gange con una barca e vedere la città dalla prospettiva
del fiume. Una prospettiva
diversa. C’è sempre gente che si
bagna, che fa abluzioni, che sale e scende i mille gradini dei ghat, che prega,
a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Due ghat sono destinati
alla cremazione dei cadaveri. Cataste di legna, pire
fumananti e accanto, nel ghat successivo, ci sono bambini che giocano,
abbastanza vicini alle pire e cani che sostano in attesa.
Lungo il Gange
incontriamo anche un guru shivaita con il
tridente , simbolo di Nettuno, bello, giovane, forte, molto festeggiato,
con una barca addobbata e altre barche al seguito di fedeli, alcuni occidentali.
Un ragazzo norvegese mi dice che si chiama Beniabag ed è il vero interprete dei
Veda, la summa della spiritualità indiana, afferma convinto. Nella cartolina
con il suo nome e la foto c’è scritto Nithyananda. Ha anche una sua tv. Su
internet trovo la notizia di un
suo arresto per aver avuto rapporti con una donna. Poi sarebbe stato
rilasciato. Misteri del misticismo indiano o diffamazione nata dalla gelosie
tra i diversi guru.
Dopo aver lasciato i ghat mi inoltro nelle strade strette di Varanesi, tra mille
negozi e ultime spese. Lascio
Varanasi portandomi dietro due
ultime immagini: una mucca scheletrica che arranca tra una marea di pellegrini e turisti, e un Naga
nudo che si avvia verso il ghat
per le abluzioni serali.