Passeggiare nell’ashram della Self Realization Fellowship a Encinitas, in California, è come vivere in un luogo incantato dove si respira una pace intensa. Il giardino è curato nei minimi particolari. Molti alberi sono stati piantati dallo stesso ParamahansaYogananda, come un antico“Ming Tree”, un particolare tipo di pino, coltivato come un bonsai. Da anni si lavora per contenere il terreno, a strapiombo sull’oceano. L’erosione del tempo, la salsedine, intaccano le rocce.
La casa fu costruire nel 1936 a picco sul mare, mentre
Yogananda era in viaggio in Europa e in India. Fu un regalo dei discepoli, il
“ben tornato a casa”. In questo eremitaggio tutto è rimasto intatto come
allora: la sua stanza da letto, con le pantofole ai piedi del letto, e lo
studio, dove Paramahansa Yogananda
scrisse l’Autobiografia di uno Yogi. Davanti al camino
ci sono molte conchiglie, di rara bellezza.
Dopo la Convocation, è consuetudine per la SRF organizzare, per chi lo desidera, un pellegrinaggio a Encinitas. Per l’occasione, sono arrivati da Los Angeles centinaia di devoti. Sono stati allestiti nell’area che, nel tempo, è diventata sempre più grande, spazi coperti da tende, dove poter meditare davanti all’oceano, al riparo dal sole cocente. Ed è stato preparato per tutti anche un frugale pasto vegetariano.
Nella piccola cittadina di Encinitas, a pochi chilometri da
San Diego, sono stati aperti negli anni
altri due templi, dove poter meditare, e un Books Gift Shop, dove si possono trovare diversi
prodotti artistici indiani : sciarpe, vestiti, libri, dischi, strumenti
musicali. Tutto questo per
favorire un migliore
approccio culturale e spirituale
tra Oriente e Occidente, come auspicava Paramahansa Yogananda. Conoscersi è il primo passo per rispettarsi.
Sono tornata a
Encinitas dopo 24 anni. Un’eternità. Nel 1989 rimasi per una settimana
nell’ashram, questa volta soltanto due giorni. Disseminati nel giardino ci sono gli stessi sedili di pietra di un tempo. La
bellezza del luogo, il respiro dell’oceano, il cielo che sovrasta benevolo, il
silenzio: tutto contribuisce
all’interiorizzazione. E
quando si torna a casa si scopre che qualcosa di profondo è rimasto dentro.
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