Krishna, nella Bhagavad Gita, dice che né l’austerità, né l’isolamento aiutano il sadhu, il “perfetto” che vive di privazioni nelle caverne dell’Himalaya, a raggiungere Dio. Anzi, in un altro passo, è ancora più esplicito: “Lo Yoghi è più grande degli asceti che si sottopongono alle disciplina corporea, più grande anche di coloro che seguono il sentiero della saggezza, o il sentiero dell’azione: sii tu, o Arjuna, uno Yoghi!”. Per ottenere la realizzazione è necessario, quindi, raggiungere l’armonia, l’equilibrio nella vita.
Credo che la via spirituale non possa che essere una via individuale. Ognuno di noi deve trovare Dio dentro sé stesso. Non ha bisogno di istituzioni, di preti, di sacerdoti, di monaci, di nessuna religione. Nei primi tre viaggi che ho fatto in India ho potuto assaporare, sia pure per poco tempo, l’esperienza di un’espansione di coscienza, quella felicità che è data semplicemente dal fatto di sentirsi parte di un Tutto. Per chi si sente come me senza radici è stata una sensazione di grande gioia. Poi il rientro in Italia e il vortice della vita quotidiana ha spazzato via i ricordi del viaggio e la serenità acquisita. Quando sono tornata successivamente, a distanza di anni, non ho provato le stesse emozioni. Ho continuato a viaggiare portandomi dietro quel senso di sradicamento che è la caratteristica della mia vita. L’espansione di coscienza è povera cosa, non è certo l’esperienza del samadhi, il rapimento estatico in Dio, così bene descritto da Yogananda nella sua Autobiografia.
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