domenica 27 febbraio 2011

Il ricordo di un bambino malato

Per alcuni mesi ho continuato ad andare una o due volte alla settimana in ospedale per trovare X che , nel frattempo, era stato spostato in un altro reparto, non avendo più bisogno dell’attrezzatura della rianimazione. Era ancora in coma , immobile, sembrava non capire e sentire ciò che accadeva intorno a lui. Ma forse non era vero, ho percepito una minima presenza vigile. Quando l’infermiera pronunciava il suo nome accennava a girare un poco la testa. Nel letto accanto al suo, c’era un ragazzino, anche lui in coma , con gli occhi persi nel vuoto che guardavano lontano, ma sembrava capire. Aveva il cancro allo stadio finale, il ventre gonfio. Mi stringeva forte la mano ogni volta che lo salutavo. Avevo fatto amicizia con la mamma, che era sempre accanto a lui e gli parlava. Ci vediamo mercoledì prossimo alle 15, gli dissi un giorno andando via.


Questo continuo andare in ospedale cominciava a pesarmi: il lavoro, la casa, il figlio, la salute malferma. Arrivò il mercoledì previsto per la visita, ma ero troppo stanca, non ce la facevo più e, sia pure combattuta per la promessa fatta, decisi di saltare l’appuntamento. Dopo alcuni giorni tornai in ospedale e trovai il letto del ragazzino vuoto. Chiesi notizie all’infermiera: mi disse che era morto quel mercoledì alle 15, proprio il giorno e l’ora in cui sarei dovuta andare. Forse aveva atteso il mio arrivo per salutarmi un’ultima volta. Mi ripetevo: sono stata una egoista. E su di me calò, come una mannaia, un profondo senso di colpa.


sabato 26 febbraio 2011

Il mio compito è finito

Passarono alcuni giorni e improvvisamente sentii che il mio compito era finito. Provai una leggera angoscia mentre, al contrario, avrei dovuto sentirmi liberata dal peso e dalla responsabilità che da settimane gravavano su di me. Dopo pochi giorni, il 31 dicembre , a mezzanotte - la fine dell’ anno è per me una scelta di solitudine, non sopporto botti e inutili rituali - avvenne il terzo incontro. Come sempre stavo meditando, avvertii come una leggera presenza. Parlai con lui per una decina di minuti: “Se vuoi tornare, siamo pronti ad accoglierti con amore. Se vuoi andare via, che tu sia felice nella luce”. Il fatto che fosse tornato proprio il 31 dicembre, a mezzanotte, lo valutai come un gesto gentile. Dopo le prime due volte ero meno spaventata, anzi mi aspettavo un nuovo incontro.


Dopo quattro giorni, all’una di notte, avvenne il quarto ed ultimo incontro. Stavo meditando. La presenza era andata col tempo affievolendosi. Era come se si stesse allontanando. Lo percepivo appena. Chiesi perché non poteva tornare. Sentii nella mia mente il numero sette. Allora capii che aveva scelto di non tornare o, più semplicemente, che non poteva tornare, dunque sarebbe morto. Allora mi domandai: che cosa significa sette? sette giorni?, sette mesi?, sette anni?


Cinque mesi più tardi , il giorno 7, un’amica mi telefonò e mi annunciò che X era morto. Stavo partendo per lavoro, così non potei assistere ai suoi funerali.

mercoledì 23 febbraio 2011

Gli incontri successivi

Dopo alcuni giorni avvenne il secondo incontro. Era mezzanotte . Stavo facendo gli esercizi di yoga, sentii la presenza di X , ma non forte come la prima volta. Mi sedetti a meditare e immediata, come la volta precedente, arrivò la tachicardia e il freddo gelido sulle mani. Suggestione? Ricordo della volta precedente? Contatto reale? Sono le domande che mi feci, secondo il mio naturale scetticismo. Gli parlai per mezz’ora con intensità e partecipazione. Gli posi alcuni quesiti. Lo chiesi di tornare con tono accorato: ero ormai compenetrata nel mio ruolo salvifico. Alla fine domandai: “E’ un addio o un arrivederci?” Rispose :”Un arrivederci”.


Proseguii la meditazione, pur rimanendo nel sospetto che si fosse trattato di semplice autosuggestione. Alla fine gli posi alcune domande sciocche: Hai freddo? No. Sei Solo? No. Stai bene? Si. Cercai di rassicurarlo e di convincerlo a tornare tra noi con frasi tipo :” Se interrompi la vita non puoi progredire. Pensa a quante cose puoi ancora imparare, questa esperienza dolorosa ti ha fatto fare un grosso passo avanti, perché vuoi fermarti? Dammi la possibilità di aiutarti. Dai a tutti noi la possibilità di volerti bene.”


Il contatto, ovviamente, era mentale, non sentivo né la voce né le parole, ma intuivo il significato di quello che mi voleva dire. E rispondevo con una forte concentrazione mentale.

sabato 19 febbraio 2011

Il corpo astrale vibra

Continuai a recarmi al reparto di rianimazione dell’ospedale. Un giorno ebbi la sensazione , nonostante i rumori intorno, che X mi ascoltasse, percepisse le mie parole . Lo incitai mentalmente a svegliarsi, gli feci coraggio. Ebbi la sensazione che X cercasse disperatamente di uscire dal coma: qualcosa vibrava sopra il suo corpo. Impossibile descrivere ciò che vidi con le parole. Pensai che fosse il suo corpo astrale. Mi sembrò più volte che volesse sollevare la testa, ma ogni tentativo fallì perché il corpo non mutò posizione e percepii la sua sofferenza per non essere riuscito a svegliarsi.


Durante la visita successiva, invece, capitò l’opposto. Dietro il vetro del reparto di rianimazione notai subito il suo corpo immobile, inerte; a differenza delle altre volte sembrava un guscio vuoto. Sul letto c’era soltanto il suo corpo fisico. Il corpo astrale era altrove, dove?, mi chiesi.

venerdì 18 febbraio 2011

Il corpo astrale durante il coma

All’inizio di dicembre di molti anni fa, avvenne il primo contatto. Era quasi mezzanotte. Avevo sete. In cucina, stavo cercando di aprire una bottiglia di succo di carota. Improvvisamente sentii accanto a me la presenza di X, aveva fretta. Continuai ad aprire la bottiglia e mentalmente gli dissi:”Dove sei ora, non dovresti avere fretta!”. Riuscii a bere, ma c’era sempre la sua presenza che mi incitava a sbrigarmi, e mi rimprovera per non essere andata a trovarlo quella mattina. Spensi il televisore, le luci, andai in camera da letto: pensai che la meditazione fosse la condizione migliore per accogliere questa presenza. Così, dopo gli esercizi di yoga, mi sedetti sul tappeto nella posizione del mezzo loto, davanti alla foto del mio maestro, e mi preparai a meditare. Dopo qualche minuto avvertii una forte alterazione del battito cardiaco, una forte tachicardia. Con il mio solito pragmatismo mi chiesi se a cena avessi mangiato qualcosa che mi avesse fatto male, poi avvertii la presenza di X. La prima reazione fu di paura, poi pensai: “Sto meditando, non mi può accadere nulla di grave”. Persi il contatto.


Dissi a me stessa :” Forse aveva qualcosa di importante da dirmi; forse è morto proprio in questo preciso istante. Troppo occupata ad analizzare la situazione, non sono stata capace di recepire il suo messaggio”. Ripresi a meditare per una decina di minuti. Cercai di concentrarmi su di lui pregandolo di rimettersi in contatto con me. Pregai il Maestro di farmi strumento del suo volere. Così avvertii nuovamente la presenza di X, molto forte. Mi arrivò il suo messaggio e mentalmente gli risposi. Poi cercai di fargli coraggio, lo incitai ad abbandonare la sua posizione pietrificata, gli disse che saremmo diventati amici. Ho tante cose ancora da imparare –pensai - prima di tutto a sorridere e ricordai la frase di Yogananda:” Mettetevi davanti a uno specchio e tirate gli angoli della bocca”.’


Durante il contatto, ad un certo punto, calò un freddo gelido sul palmo delle mani, come se X, seduto di fronte a me, avesse appoggiato le sue mani sulle mie. E poi anche freddo gelido sulla fronte. Il gelo della morte. Ero combattuta tra la paura e il disagio. Il pensiero della morte mi afferrò, ritirai le mani e le misi nella posizione della meditazione buddhista, incrociate sul grembo. Dopo poco fui costretta a tornare nella posizione precedente. Nuovamente percepii la sensazione di freddo gelido sulle mani . Eseguii il Krya Yoga sette volte, cantai l’OM tre volte per X che mi era davanti. Improvvisamente si sciolse il contatto. Era trascorsa circa un’ora.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il corpo astrale

I libri di yoga spiegano che esistono tre corpi che rivestono l’anima: il corpo eterico o fisico, il corpo astrale o emotivo e il corpo–idea o causale. Il corpo fisico dipende dal cibo e si distrugge con la morte; quello astrale dipende dall’energia, dalla volontà e dall’evoluzione del pensiero e il terzo corpo, quello causale, dipende dalla saggezza e dalla felicità. Gli ultimi due corpi rimangono legati insieme dai desideri e dal karma non consumato. E sarebbero proprio i desideri a legarci alla terra e a spingerci a reincarnarci. Questi concetti per molti anni sono stati per me soltanto teorie affascinanti, lette nei vari libri sacri, fino a quando alcune esperienze, vissute in seguito, hanno aperto uno spiraglio su ciò che le scritture definiscono “corpo astrale”.


A causa di una incidente automobilistico una persona che conoscevo e chiamerò X, entrò in coma e rimase per molto tempo in sala di rianimazione. Sentii immediatamente il dovere di fare qualcosa, di aiutarlo, anche se non capivo il perché di questa spinta interiore. Furono mesi segnati dall’ angoscia, mi sentivo sopraffatta da una enorme responsabilità, come se la vita di questa persona dipendesse dalle mie scelte, dai miei pensieri. Ero sola a gestire questa esperienza, per me nuova , non sapevo a chi chiedere aiuto, nessuno mi avrebbe creduto. Nonostante questo travaglio interiore, cominciai ad andare in ospedale. Per quattro volte, nel giro di un mese, entrai in contatto con il corpo astrale di X, o meglio fu X a volere a tutti i costi comunicare con me. Fu qualcosa di sconvolgente. Ora, dopo molti anni , sento che ne posso parlare. Forse può aiutare gli altri a capire.


Prima di raccontare la mia esperienza vorrei ricordare ciò che scrive Yogananda nel suo libro “l’Eterna ricerca dell’uomo”, edito da Astrolabio. ll corpo astrale è “ Il sottile corpo di luce dell’uomo fatto di prana e vitatroni; il secondo dei tre gusci che successivamente racchiudono l’anima: il corpo causale, il corpo astrale e il corpo fisico. Le facoltà del corpo astrale danno vita al corpo fisico. Così come l’elettricità dà vita alla lampadina…...”.

mercoledì 2 febbraio 2011

La prima volta a Mount Whashington

Nel settembre del 1989 mi recai a Los Angeles. Era il primo viaggio dopo una lunga e dolorosa malattia. Lo desideravo molto, ma temevo di non farcela fisicamente. Era la mia prima volta negli Stati Uniti, ero sola, con il mio inglese scolastico, dovevo cancellare un periodo negativo e ritrovare la forza spirituale per andare avanti. Il primo appuntamento fu a Mount Washington, l’ ashram fondato da Yogananda. Nel 1920 Yogananda aveva scelto proprio Los Angeles come casa madre internazionale della Self-Realization Fellowship. Quando arrivai, dopo aver visitato l’ashram e il giardino, chiesi di parlare con Sister Namita, lei è italiana- pensai -non dovrei avere difficoltà ad esprimermi. Le chiesi se era possibile incontrare Daya Mata, anche per pochi minuti. Mi rispose gentilmente che non era possibile, avrei dovuto avvertirla con qualche giorno di anticipo, forse la prossima volta, il prossimo viaggio, mi disse.


Ero ancora frastornata dal jet lang e non avevo pranzato. Andai in giardino e mi sedetti su una panchina in un angolo di verde, forse un po’ delusa. Una suora sorridente mi portò alcuni sandwhich vegetariani e mi lasciò sola con la mia testa confusa e le mie paure. Presi il primo sandwhich, stavo per portarlo alla bocca e dare il primo morso quando avvertii forte una presenza accanto a me. Senza capire ciò che mi stava succedendo, cominciai a piangere a dirotto mentre ripetevo mentalmente :“Yogananda aiutami, Yogananda aiutami”. Mi trasferii poi per un ritiro di una settimana a Encinitas. Quando scesi dal treno Los Angeles-Encinitas, un uomo mi aiutò con la valigia, sul suo braccio notai il braccialetto di oro argento e rame della SRF. Mi sembrò di buon auspicio. Il viaggio, infatti, proseguì per un mese senza intoppi o incidenti, fu perfetto. Quando tornai a Los Angeles per la Convocation del 1993, per festeggiare i cento anni dalla nascita di Yogananda, vidi Daya Mata da lontano, durante la sua conferenza.


Daya Mata aveva conosciuto il suo Guru, Yogananda, per la prima volta nel 1931 a Salt Lake City ed era rimasta folgorata dall’amore divino che emanava. Era diventata sua discepola ed era entrata nell’ashram a diciassette anni. Daya Mata ha lasciato il corpo il 30 novembre 2010. Una vita intera dedicata a Dio e al suo Maestro, Yogananda.


Il cammino spirituale appare più facile quando il cuore brucia di un fuoco interiore. Non a caso, si parla di chiamata, vocazione, grazia divina; certamente il percorso è più doloroso e lungo quando l’essere umano è schiacciato da dubbi e incertezze e oppresso dai doveri della vita quotidiana.