L’anima cresce piano piano, matura e questo ha una sua logica, una sua credibilità. Insomma, è questo che mi ha fatto riavvicinare, dopo tanti anni di rifiuto del cattolicesimo- grazie all' educazione ricevuta dalle suore- alla spiritualità. È proprio il fascino di questo cammino, vedere l’anima che cade e si rialza, cade e si rialza, cade e si rialza finché è necessario. Una volta indossa un vestito lacero, un’altra volta sceglie un abito lussuoso. Perché ogni vita è un vestito; comunque da sola costruisce il suo itinerario di crescita spirituale. Quello che mi lasciava e ancora mi lascia perplessa della religione cattolica, non è la figura del Cristo, affascinante, stupenda come quella del Buddha, ma questa rigidità nell’ammettere una sola vita.
Nel secondo capitolo della Bhagavad Gita, il vangelo degli indù, Krishna dice ad Arjuna : “I contatti con le cose materiali, o figlio di Kunti, fanno sentire caldo e freddo, piacere e dolore, vanno e vengono e sono impermanenti. Apprendi soltanto a sopportarli, o Bharata”. Lo yoga ci insegna a superare la schiavitù dei sensi, a rimanere imperturbabili di fronte a qualsiasi evento. Siamo pellegrini su questo pianeta, siamo arrivati nudi e ce ne andremo nudi.
Krishna, infatti, aggiunge: “L’uomo che questi contatti non turbano, o capo di uomini, l’uomo fermo che rimane lo stesso nel piacere e nel dolore: questo si rende adatto all’immortalità”. Quando si è raggiunta la calma mentale, quando si è in sintonia continua con l’essenza divina che è in noi, nulla può turbarci. Più semplicemente voleva dire : impara a discernere tra Maya, ovvero l’ignoranza, il mondo empirico illusorio, e la realtà ultima interiore.
Nel secondo capitolo Krishna affronta, con parole chiare e inequivocabili, anche il problema dell’immortalità dell’anima e della reincarnazione. Dice: “L’anima, dopo che in questo corpo è stata per la fanciullezza, la gioventù e la vecchiaia, allora appunto realizza l’assunzione di un altro corpo. L’uomo, fermo di spirito, non trae da ciò motivo di smarrimento”. E due pagine dopo: “Come un uomo smettendo i vestiti usati, ne prende altri di nuovi, così proprio l’anima incarnata, smettendo i corpi logori, viene ad assumerne altri”. In questi due versetti non sembrano esserci dubbi su quello che Krishna intende per reincarnazione. Sappiamo che i grandi yoghi, con l’aiuto di una tecnica avanzata, sono in grado lasciare coscientemente il corpo. E Patanjali negli Yoga Sutras osserva che anche nei grandi santi si può ritrovare, sia pure in misura lieve, l’attaccamento alla dimora fisica al momento della morte. Come un uccello che è stato a lungo in gabbia, l’anima esita un istante prima di abbandonare il corpo.
L’esistenza pone mille interrogativi. C’è chi nasce miliardario e chi vede la luce in un paese del terzo mondo. Chi ha il dono della salute e chi soffre per continue malattie. Chi muore nel suo letto, circondato dall’affetto dei cari, chi viene ucciso, crivellato di colpi, in guerra. C’è una tale disparità, una tale disuguaglianza tra le diverse vite! Non posso pensare che Dio sia ingiusto, cattivo o, almeno, è incomprensibile. E poi l’idea di una sola vita non ti lascia scampo. Se in trenta, cinquanta, ottant’anni non hai fatto in tempo a trovare Dio perché sei ancora ossessionato dal sesso, dai soldi, dall’avidità, non hai nessun altra chance. Hai l’inferno eterno o il Purgatorio, dipende da quanti peccati hai commesso. Così, almeno, sostiene il catechismo.
Nell’Autobiografia di uno Yoghi, Paramahansa Yogananda cita un passo del vangelo di Matteo (17,12–13) dove sembra chiaro il riferimento di Gesù alla reincarnazione: “Vi assicuro però che Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto. Perciò faranno soffrire anche il Figlio dell’uomo. Allora i discepoli capirono che aveva parlato di Giovanni Battista”. Giovanni Battista era venuto precedentemente come Profeta Elia.
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