mercoledì 27 maggio 2015

Brother Sattvananda (Satsanga)


 Brother Sattvananda  risponde alla domanda di un devoto che chiede chiarimenti sul significato di Maya, raccontando la storia di Krishna e di un suo giovane discepolo.
 Dopo aver camminato a lungo nella foresta Krishna e il discepolo  si fermano sotto un albero per riposare. Il discepolo chiede a Krishna: “Che cos’è Maya?”. Krishna sorvola sulla domanda e prega il giovane  di portargli un po’ d’acqua da bere. Il discepolo corre nel villaggio più vicino per soddisfare il desiderio del  suo guru. Trova una casa e un contadino al quale chiede l‘acqua. Il contadino chiama la figlia e le ordina di portare l’acqua al monaco. Il giovane monaco affascinato dalla bella ragazza, dimenticando  completamente ciò che aveva promesso a Krishna,  decide di  fermarsi nel villaggio.  Passano gli anni, il giovane ha sposato la ragazza, è padre di due figli, è felice con la sua famiglia.  Un giorno arriva improvviso e violento un uragano che distrugge tutto. Il giovane perde la casa, gli animali, cerca di salvare la moglie e i figli ma invano,  la potenza delle acque gli porta via tutto. Rimasto solo e disperato vaga nella foresta finchè sotto lo stesso albero, dove l’aveva lasciato molti anni prima, incontra Krishna che gli chiede: “Non dovevi portarmi l’acqua?”. “Perdonatemi,” supplica il giovane. “Non mi serve più”, risponde Krishna. E il discepolo: “Ho capito il significato di Maya”.

 La vita è una provocazione continua. I problemi vanno accettati e superati. Aiutano a progredire nel cammino spirituale.

Non diamo per scontato quello che abbiamo. Siamo grati a Dio per i privilegi che abbiamo.  Il desiderio di Dio è già un buon punto di partenza, poi  servono volontà e disciplina. La devozione cresce con il desiderio di Dio, che si alimenta con la meditazione.  Ci vuole disciplina nel fare gli esercizi,  bisogna creare l’abitudine agli esercizi e alla meditazione. Se durante la meditazione si raggiunge la pace, allora rimanete in quella  pace. Nel silenzio. Assaporate la pace nel silenzio.

Non è necessario che i gruppi SRF crescano di numero ma nella qualità. Il Maestro raccontò una sua visione:” Ero in una grande cattedrale piena di gente dove non si percepiva la presenza di Dio, poi ero sotto un albero con un piccolo gruppo di discepoli e lì era forte la presenza di Dio. La Madre Divina mi chiese: “Cosa  vuoi?”. Yogananda rispose: “Il piccolo gruppo”.

Se facciamo un lavoro che non ci piace, dobbiamo accettarlo. Dobbiamo farlo come servizio, senza attaccamento poi, con il tempo, possiamo cercare di migliorare la nostra posizione, scegliendo un lavoro che ci piace di più. Servire Dio nella città dove siamo nati, anche se non ci piace.

Per diventare un monaco  SRF  il percorso è molto lungo:  2 anni di postulato, poi tre anni di noviziato, poi un lungo periodo di brahmachari, infine il voto definitivo. Anche noi monaci abbiamo i nostri demoni interiori. Il percorso è lungo, a tappe, così, se non si è pronti, si può tornare indietro in qualsiasi momento. E’ auspicabile affrontare il monacato con esperienze alle spalle.  E’ una scelta che deve maturare dentro di noi, con convinzione.

Se cerchiamo Dio, vuol dire che nelle vite precedenti abbiamo maturato questo desiderio. Non sprechiamo questa vita inseguendo Maya. E’ sempre la sofferenza che ci porta a intraprendere il cammino spirituale. Se abbiamo il desiderio di meditare, ma poi decidiamo di fare qualcos’altro, vuol dire che il desiderio di  quell’ altra cosa era più forte. In questo caso ci deve aiutare il senso del dovere e il rispetto che dobbiamo al Guru per le promesse fatte una volta preso il Krya.

Se in questa vita abbiamo scelto  di creare una famiglia non dobbiamo trascurare coniuge e figli per meditare. E’ necessario trovare la giusta armonia tra Dio e i doveri familiari. Se è rimasto in noi da una vita precedente il desiderio di meditare, ma in questa vita  abbiamo creato una famiglia, abbiamo il dovere di essere dei genitori presenti e amorevoli.

Brother Sattvananda racconta la storia di Yogananda al quale era stato regalato un cappotto molto costoso e un cappello. Il Maestro diceva: le mie preoccupazioni sono nate con questo cappotto. Si può macchiare, rovinare. Pregava: Signore, perché non te lo riprendi? Così,un giorno, in occasione di una conferenza, lasciò il cappotto al guardaroba della sala e svuotò le tasche, per precauzione. Al ritorno trovò solo il   cappello, il cappotto era stato rubato. Yogananda: “Signore, perchè non ti sei ripreso anche   il cappello?”

Daya Mata:” E’ difficile pensare a Dio mentre stai lavorando”. Yogananda : “Avevo anch’io questo problema”.

Un giorno Yogananda era talmente assorto nel suo lavoro che aveva dimenticato di mangiare   e ogni tanto qualcuno andava a supplicarlo di prendere qualcosa e Yogananda rispondeva: “La mia mente è troppo presa dal lavoro”. “Maestro  è   rimasta un po’ di torta di ieri”. E lui chiese: “Che tipo di torta è?”. “Torta di mele”.” Ok,  la prendo”.  Brother  Sattvananda cita questo episodio   per  sottolineare che anche il guru, pur nella sua trascendenza, conservava un aspetto molto umano.

L’ “Autobiografia di uno Yogi” è un libro molto bello, scritto bene, capace di catturare il lettore  per la sua grande  umanità. Mostra  le  irrequietezze di Yogananda da giovane.   Così anche noi possiamo dire:“Ce la posso fare  anch’io”.

Pensare: ”Il  guru non è mai soddisfatto di me” è un’idea sbagliata, alimenta il nostro complesso di colpa. Noi dobbiamo fare del nostro meglio, dopo ci penserà Lui. L’umanità  del  Guru ci collega a Dio.

mercoledì 6 maggio 2015

Brother Sattvananda: Surrender




Brother Sattvananda inizia la sua conferenza con una battuta, ricordando la penuria di soldi che c’era nell’ashram di Los Angeles all’inizio dell’opera di Yogananda.  I monaci compravano vestiti usati, raccoglievano fondi per costruire gli edifici e un giorno un monaco durante una conferenza disse: “Abbiamo i fondi per iniziare i lavori. L’unica cosa… è che sono ancora nei vostri portafogli”.

Il messaggio di Mrinalini Mata: “ Nella vostra Anima esiste una forza e una volontà illiminata come figli di Dio. La scienza sacra dello yoga possa aiutarvi a superare l’irrequietezza  e sentire l’abbraccio di Dio, il benessere che si prova quando si è in sintonia con Dio. Aiutiamo gli altri a migliorare.”

Coltiviamo il giusto atteggiamento verso Dio. Essenziale è la disposizione mentale, quella che ci consente di avere il giusto atteggiamento per affrontare le circostanze che la vita ci presenta, gli alti e bassi che incontriamo.  Importante è raggiungere la saggezza.

Ogni sentiero ha le sue regole, quelle dello  yoga sono Yama e Nyama, sono indicazioni di base. Possiamo avere molte regole, ma la vita ci presenterà sempre nuove sfide. E’ necessario discriminare. Ci vogliono regole ma anche buon senso. Nel fondamentalismo  i precetti sono rigidi, si crede ciecamente in qualcosa, mentre la realtà è molto più complessa, non si può costringerla in una cornice rigida. Bisogna crescere. Il giusto atteggiamento nei confronti degli altri comprende buon senso, benevolenza, compassione, accettazione.

Un monaco chiese a Daya Mata: “Sto agendo con Verità?”. “L’amore è sempre più forte dello spirito della Verità”, rispose Daya Mata. Ci vuole umiltà nel giudicare. Chiediamoci sempre: ”Qual è la cosa giusta da fare in questa occasione?”.  Prima di intraprendere qualcosa dobbiamo fermarci a riflettere: ”E’ il mio istinto che mi spinge a reagire?” Dobbiamo agire nel modo giusto nel momento giusto.

Sri Yukteswar diceva che le buone maniere senza sincerità sono come una bella donna, senza vita.

La sincerità è importante, è una forma di gentilezza, ma dobbiamo stare attenti a ciò che diciamo.  Dobbiamo agire con le parole come un chirurgo con  il bisturi. La franchezza è un bene, ma per non sbagliare seguiamo le regole e chiediamo aiuto a Dio.  Comportiamoci come suggerisce la nostra coscienza, con umiltà. Diamo al Guru l’opportunità di guidarci.

L’intuizione sviluppa il giusto anelito del cuore. Sri Yukteswar diceva a Yogananda: “Impara a comportarti bene”. Una vita ben vissuta dimostra amore e saggezza, rispetto e benevolenza per gli esseri umani, gli alberi, gli animali, per tutto il creato.

Brother Sattvananda ricorda, a proposito dell’attenzione che dobbiamo avere per tutto il creato,  un episodio accaduto nell’ashram di Los Angeles. Un giovane monaco stava rastrellando le foglie nel giardino quando un altro discepolo di Yogananda lo chiama perché  bisognoso di aiuto. Il monaco giovane si precipita  lasciando cadere distrattamente il rastrello per terra. Un monaco anziano, che aveva assistito alla scena, quando il giovane monaco torna a rastrellare le foglie, gli fa notare che nella fretta aveva fatto cadere il rastrello su un rododendro  e un ramo della pianta si era spezzato.

 Brother Sattvananda ricorda un altro episodio che mostra la lungimiranza  dei monaci più anziani. Un giovane monaco era appassionato di arti marziali e dei film di Bruce Lee. E non perdeva occasione, quando camminava per strada, per girarsi a guardare i manifesti che pubblicizzavano le pellicole. Alla fine  Brother Premamoy lo  chiamò e lo portò al cinema a vedere un film, proprio di Bruce Lee. Le regole sono importanti, sono le basi di un giusto atteggiamento verso la vita, gli altri, Dio, il Guru. Ma ci sono anche  le eccezioni.

Sono le aspettative errate che ci fanno soffrire. Importante è il giusto atteggiamento verso la vita, ribadisce brother Sattvananda.

Quando Mukunda lasciò l’ashram di Sri Yukteswar per fuggire  sull’Himalaya,  al ritorno temeva i rimproveri del maestro. Ma Sri Yukteswar gli disse: “ Non mi aspetto nulla dagli altri, quindi non posso avere rabbia, desideri o frustrazioni”.

La serenità interiore non deve dipendere dalla situazione esteriore. Le aspettative inconsce che ci rendono felici vengono dai piani astrali. Quando la vita mostra il lato oscuro ci deprimiamo, ci arrabbiamo. La vita è lo strumento del nostro progresso spirituale. Buddha dice: “La vita è  impermanente”. Dalla transitorietà della vita nasce la nostra sofferenza. Come può una cosa impermanente renderci permanentemente felici?

La natura ha tre qualità: Tamas (oscurità, ci allontana da Dio), Sattva (positività, bene) , Raja (moto perpetuo, neutro).

La vita manifesta continuamente i lati positivi e negativi. Renderci felici è il nostro compito. Dobbiamo creare dentro di noi una pace interiore permanente seguendo le regole e praticando la meditazione.
Diventare saggi e sereni dipende sempre meno dagli agenti esteriori. Posso avere speranze, accettare la vita nel bene e nel male. Il karma, anche se è duro, dobbiamo prepararci ad affrontarlo. Se dobbiamo fare un safari nella giungla non possiamo aspettarci che i leoni  si comportino bene e i serpenti si allontanino.  Ci prepariamo adeguatamente e attraversiamo la giungla della vita.

Brother Sattvananda insiste nel ripetere che è importante  avere il giusto atteggiamento verso gli altri, perché spesso pensiamo che gli altri siano diversi da quello che sono. Dobbiamo dare agli altri il diritto di essere se stessi. Brother Sattvananda racconta una sua esperienza personale. “Quando ero novizio soffrivo molto del comportamento errato di alcuni novizi.” Mi chiedevo : “Ma perchè fanno così?”. Poi un giorno un monaco mi disse:  “Si comportano così  perché è lì che sono”.  “Dove? “chiese Sattvananda. “A quel livello di maturità”, rispose l’altro monaco.

 Pretendiamo che gli altri siano diversi, invece dobbiamo accettare gli altri così come sono, possiamo solo tentare di capirli. Una persona non fa la cosa giusta perché in quel momento  è incapace di farla. Dobbiamo cambiare noi, il nostro atteggiamento, la nostra strategia. “Non si può biasimare un coniglio perché è un coniglio e non è un leone”.

 Brother Sattvananda, per spiegare meglio il concetto,  racconta la storia di un difficile rapporto tra padre e figlio.  Il padre non era stato un buon padre nè un buon marito, aveva fatto soffrire la moglie, i figli; la coppia  si era separata: una famiglia distrutta. Sul letto di morte il figlio chiede spiegazioni al padre : “Perchè ci hai fatto soffrire così tanto? Perché hai fatto soffrire la mamma?” E il padre, che aveva raggiunto una certa saggezza prima di morire, rispose: “Non sapevo quello che facevo”.

 Dobbiamo avere il giusto atteggiamento anche verso Dio e il Guru.  Non dobbiamo coltivare aspettative sbagliate. Non dobbiamo pensare :“Sto facendo una vita buona , faccio tutto quello che posso. Dio dovrebbe darmi un po’ di serenità. Invece perché mi capita tutto questo?”.

Brother Sattvananda racconta un’altra storia.  C’era una famiglia perfetta, genitori, figli, tutti molto religiosi, seguivano le funzioni nei templi, poi il figlio maggiore partì per il Vietnam e la famiglia scomparve, non si vide più alle funzioni. Un monaco anziano alla fine  telefonò alla famiglia per chiedere spiegazioni. “Perché Dio ci ha trattato così?”, fu la risposta. Si erano allontanati dalla fede. Non avevano retto alla prova. La sofferenza, l’ingiustizia, a volte sono necessarie. Dio è sempre dalla nostra parte.

Gyanamata diceva: A un Maestro non importa che tu soffra o  meno. Perché quando il lavoro sarà compiuto  ci darà una mano. Ci dà problemi ma dall’altro lato ci aiuta. Bisogna avere fiducia in Dio perché è dalla nostra parte.

Brother Premamoy pregava la Madre Divina:” Non so perché devo passare attraverso queste esperienze, ma tu lo sai”.

Surrender è la parola chiave. Abbandonarsi a Dio.