giovedì 26 maggio 2011

L’ angoscia: Roma 20/11/82

Ci sono momenti nella vita che tornano, corsi e ricorsi della storia. Queste pagine scritte nel novembre del 1982,nel pieno dell’annus horribilis, potrebbero spiegare emozioni che ciclicamente si ripresentano; rafforzando il mio senso di straniamento, di mancanza di radici, che sono una costante della mia vita. Il senso di essere sempre fuori tempo e fuori luogo.


“La paura e l’angoscia hanno preso il sopravvento. E’ iniziato il conto alla rovescia e temo di arrivare all’appuntamento con il destino distrutta, psicologicamente e fisicamente. Chissà perché questo evento, che forse potrei vivere in maniera meno traumatica, si è così colorato di morte. Quel malessere sottile, che strisciando si è insinuato dentro di me una mattina a Srinagar il 24 agosto, lentamente ha ripreso forza e si è radicato.


Il sogno che avevo fatto in India parlava di un evento angoscioso che sarebbe dovuto accadere a novembre. E novembre sta lasciando cadere i suoi giorni come foglie d’autunno. Ma l’evento l’ho spostato ai primi di dicembre, quando subirò un intervento chirurgico, semplice nella sua dinamica, ma estremamente pericoloso per le conseguenze che lascerà sul mio fisico e per il dubbio che scioglierà. Potrò continuare a vivere, a guardare il sole con gioia, o tutto si offuscherà gradualmente come un panno nero che cala sugli occhi?


Potevo evitarlo? Forse sì, ho lasciato passare tre anni ed ho scelto alla fine il periodo peggiore. Sono a terra, indebolita dalle coliche biliari, stremata psicologicamente dalle prove che mi ha riservato quest’anno ( la fine del rapporto più importante della mia vita, la morte di mio padre, la perdita del lavoro, lo sfratto esecutivo, la mancanza di soldi). La scelta di operarmi sarà un colpo da novanta. Reggerò, non reggerò? Quali saranno le conseguenze?


L’angoscia mi strazia il cuore, dopo aver martellato per giorni il fegato. Ho la nausea. Vivo come un condannato a morte, per il momento sospesa. Mi trascino giorno dopo giorno. La paura ha ingigantito il pericolo e lo rende più reale, indebolendomi. Dove risale la mia paura della morte? Alla mia prima operazione, l’asportazione di una appendicite-peritonite a sette anni? Alla paura dell’intervento chirurgico? Mi sembra di essere tornata bambina. Anche la presenza di mia madre, rassicurante e confortante, mi riporta a quel periodo dell’infanzia, che ricordo privo di calore e di affetto. Oggi, in questa triste circostanza, ho sentito l’affetto, quello vero, di poche e care persone: mia madre, due o tre amiche , ma soprattutto di una, Patrizia, insospettata donna piena di generosità e coraggio.


Ho lasciato il libro che stavo scrivendo a metà, ho lasciato gli insegnamenti di Yogananda a metà. La ricerca della casa e del lavoro appena abbozzati. Questa situazione negativa della mia salute ha paralizzato le mie iniziative. E’ come se la mia vita si fosse fermata. Fermata in modo penoso e grave. Un momento cupo, dove si sono concentrati, ammassati tutti gli eventi negativi. Un deserto interiore ed esteriore, un vuoto da colmare, una debolezza dilagante, una paura schiacciante.


E il sole continua inutilmente a scaldare fuori. E il mio cuore batte pesantemente, il respiro è affannoso. Ce la farò? A distanza di dieci anni si è ripresentata la stessa identica situazione. Anche allora avevo chiuso una storia straziante, anche allora stavo cercando una nuova casa dove ricominciare a vivere, anche allora ero in attesa di un posto di lavoro, anche allora il mio fisico fece crack. Sei lunghi anni durò quella malattia, con relativa convalescenza. Quanto durerà questa nuova prova dolorosa?


Questi giorni mi sembrano eterni. Ogni attimo, ogni respiro, pesa. Vorrei tornare a sentire quella pace dell’anima che avevo trovato in India, al mio primo viaggio. Era tutto così semplice, chiaro, intuitivo: la vita e la morte, la guerra e il dolore. Non avevo più paura. Bastava lasciarsi andare. Bastava lasciarsi cullare dal tempo. Forse questa volta vedrò la morte in faccia e mi passerà la paura, forse morirò davvero, forse l’energia che non ho saputo sfruttare in modo creativo all’esterno, si è trasformata in un bubbone carico di morte devastante, come un polipo che improvvisamente si sveglia dal suo letargo, apre le braccia e afferra tutto quello che trova al suo passaggio.


Quante volte in questi giorni ho pianto, pregato, invocato una prova. Da chi? Da Dio. Che richiesta assurda! Ho cercato una prova di protezione da Yogananda, dalla Madre Divina, dal Padre Celeste. Ho cercato all’esterno quello che invece avrei dovuto cercare al mio interno. Vorrei il miracolo, l’illuminazione ma, riconosco, mi manca la fede per scatenare un evento soprannaturale. La mia paura è umana, terribilmente umana. La mia angoscia è fatta di carne, della mia carne. Non a caso mi sta divorando giorno dopo giorno. Questa orrenda spaccatura tra la mia mente e il mio cuore, tra la ragione e l’inconscio, rende questi giorni più strazianti di quanto dovrebbero essere in realtà.


Il mio inconscio è dilagante. Ho una tremenda paura della morte. Certo Helène dice che è ridicolo, che in fondo a 40 anni ho già vissuto abbastanza, due terzi della vita media. Cosa chiedo di più? Ho viaggiato, ho fatto cose belle e importanti. Ho un figlio di sedici anni. Ho amato. Ma tutto quello che mi rimane da fare? Tutti i programmi per il futuro? La solitudine per incentivare la mia ricerca spirituale? Un nuovo lavoro in un nuovo ambiente per divulgare le mie strade di ricerca? Il libro per far conoscere la mia storia e come faticosamente si può uscire da un meccanismo perverso di sadomasochismo?


Ma se ancora non ne sono uscita! Sento l’acqua ormai alla gola. Già la gola che il chirurgo taglierà orizzontalmente con un bisturi per recidere quel grumo di carne abnorme che ho lasciato crescere per tre anni. Un fallimento delle mie medicine alternative? Un eccesso di fiducia o di ingenuità? Come è assurdo e crudele il destino! Già, il destino, quello che noi costruiamo inavvertitamente con le nostre mani e, riguardando indietro, rivedo questi ultimi anni: le mie scelte, il mio coraggio e la mia mancanza di coraggio, la mia capacità di somatizzare tutto."

Annus horribilis

Prendo a prestito il termine dalla regina Elisabetta. Il mio personale anno orribile è stato il 1982 . Racchiude molti eventi negativi. Se si sopravvive, si rimane segnati per sempre.


1) Gennaio 1982. Parte la cassa integrazione a cui seguiranno 4 anni di disoccupazione. Figlio a carico, nessun aiuto economico.


2) Gennaio 1982. E’ in corso lo sfratto esecutivo, per necessità del proprietario. L’ufficiale giudiziario mi concede una serie di proroghe; ho sempre paura di trovarmi i mobili per strada. In commissariato giacciono una pila di pratiche. La precedenza è per gli sfratti per morosità, mi dicono. Aspetto una casa dal mio ente di previdenza, a canone agevolato ( ieri, oggi non è più così) , ma c’è sempre qualcuno raccomandato che mi frega, nonostante lo sfratto esecutivo sia una priorità. Alla fine ci riuscirò ( febbraio 1985).


3) Febbraio 1982. Finisce la storia d’amore più importante della mia vita, durata sei anni. La scelta era sopravvivere o morire di dolore. Troppe infedeltà, discussione aperta, sofferenza atroce.


4) Agosto 1982. Muore mio padre a 67 anni. Rapporto difficile, tante incomprensioni, mitigate soltanto negli ultimi tempi. Ho impiegato anni per digerire i due lutti. Spesso mi svegliavo la notte piangendo perché sognavo l’uno o l’altro.


5) Settembre 1982. Kathmandu. Febbre alta, nausea, vomito, mal di pancia, diarrea, fegato ingrossato. Il medico ayurvedico, segnalato dall’ambasciata italiana, parla di epatite virale. Mi dà un po’ di medicine e dopo qualche giorno riparto. In Italia l’antigene australe (epatite C) è negativo. Molti anni dopo scopro che ho avuto l’epatite A. Non curata, mi ha lasciato un fegato molto delicato.


6) Ottobre 1982. Tre violente coliche epatiche (ma non ho calcoli).


7) Dicembre 1982. Mi opero alla tiroide. Il chirurgo asporta il lobo sinistro, per fortuna mi salva le corde vocali permettendomi così di continuare a lavorare con la voce. L’anestesia totale, lunga e pesante, dà una mazzata definitiva al mio fegato. Impiegherò tre anni per recuperare un po’ di vitalità.


Una postilla. ( Nel 2007 un altro chirurgo mi asporta anche la parte destra della tiroide e per errore mi taglia il nervo ricorrente di sinistra , così la mia voce- considerata dai colleghi calda e sensuale- da quel giorno è bassa e rauca. La voce è l’identità di una persona. Non a caso, quando cambia il doppiatore di un attore straniero famoso, facciamo fatica ad abituarci. Non ho potuto più lavorare, e per un anno ho pianto tutti i giorni. Mi sono isolata per non sentire la mia voce, che considero sgradevole, ma anche perché faccio fatica a parlare. E’ cambiata totalmente la mia vita. Sono stati cancellati tutti i miei progetti.) Chiudo parentesi.

lunedì 16 maggio 2011

Panikkar: la felicità e il potere

Continuo la sintesi delle idee di Panikkar che più mi hanno colpito. Non intendo assolutamente avere la pretesa di riassumere l’ immenso pensiero del filosofo-teologo.


L’uomo vuole la felicità. Nell’essere umano però c’è un’altra passione opposta: il potere.

Buddismo: cammino di salvezza. E’ religione, è filosofia, fa a meno del teismo. Non c’è Dio.

Si possono fare pellegrinaggi sulla terra senza guardare verso il cielo, basta guardarsi dentro, scoprire il divino dentro di noi. Religione dell’immanenza pura.

Le altre religioni puntano sul futuro, sulla trascendenza. Se non c’è futuro, è il momento che diventa importante, complementare, e fa da contrappeso al trascendente puro. Il “come” è l’arte della vita e la vita è l’arte dell’impossibile.


Non ho fatto un cocktail di varie religioni.

Le religioni non sono oggetto di esperimenti. L’esperienza conta. Induismo, buddhismo, cristianesimo, ortodossi. Nessuna religione, nessuna cultura è autosufficiente. Nessuna religione ha il monopolio de “La religione”.

“Ama l’altro come te stesso”. Amare l’un l’altro e imparare l’uno dall’altro. Saper ascoltare è un’ arte. Disciplina. Non so ascoltare se sono pieno di me. Se ho già la risposta, se non ho fatto silenzio dentro di me.

Saper ascoltare è la grande saggezza di oggi : è una grande rivelazione.

(La gioia di essere invitati al banchetto della vita,l’amore e la gioia di questa donna malata, la superficialità nella teologia.)


Fede nuda: accettare la vita. L’uomo, invece, non fa che alienare il presente proiettando tutto nel futuro. La vita è molto più profonda: gioia e sofferenza vanno insieme. La sofferenza è la sveglia esistenziale per raggiungere Dio.

Panikkar. La vita è pienezza

Proseguo la mia personalissima sintesi del pensiero di Raimon Panikkar


Buddha, Javeh, non si potevano rappresentare. Dio è innominabile., non ha nome, ma è nominato in ogni cosa.

Devi nuotare, vivere, tuffarti con eleganza. La vita è un grande dono, qualcosa che fa soffrire. L’apostolo Giovanni: “La vita è pienezza”. La sacralità della vita: perciò ogni essere è sacro. La dignità di ogni cosa è sacra.


Sensibilità: io vedo e soffro.

Abbiamo perso la sensibilità della sacralità della materia , che non vuole essere considerata un oggetto. La violazione dell’atomo. La materia non è un oggetto, non sono risorse da sfruttare; le donne, gli animali non sono oggetti da usare. Quando si perde questa simbiosi perdiamo l’armonia con la natura e l’armonia con noi.

I Veda: esempio fondamentale delle Rivelazioni Primordiali, non sono scritture.

Senso di proprietà anche nelle religioni. Scritture cristiane per i cristiani, i Veda per gli indù, non sono proprietà di nessuno.


I Veda sono per tutti, sono un messaggio di saggezza per l’uomo d’oggi.

Henry Le Saux soffriva, era angosciato per questo doppio cammino.” Erano due amori laceranti per Henry Le Saux . Non tradiva la formazione cristiana, né l’India”. Ha sofferto più di me, quindi, è fecondo più di me. Siamo diversi. Ci sono elementi diversi, ma l’ultimo passo è la mutua fecondazione. Il vero dialogo deve essere fecondo. Non bisogna rinunciare alla propria tradizione ma l’incontro trasforma, ci fa diventare un’altra cosa.


Il Dalai Lama, teneva una conferenza all’Università della California. “Una donna come Dalai Lama?”, gli chiedono. E il Dalai Lama risponde:” Perché no?” Apertura totale. Non ha perso l’ equilibrio e il senso dell’umorismo. Non disperarsi. Non perdere il senso del trascendente.

sabato 14 maggio 2011

Il pensiero di Raimon Panikkar


Raimon Panikkar, poeta, filosofo, teologo, sacerdote (ma lui rifuggiva da ogni etichetta), era un uomo aperto, moderno, rispettoso di tutte le religioni. Un uomo lucido, colto e saggio. Un bellissimo documentario, “Il filo d’oro”, realizzato da Werner Weick e Andrea Andriotto, ce lo mostra sempre sorridente e ironico mentre affronta molti temi d’attualità. Il documentario è diviso in tre momenti: l’arte di vivere, il sorriso del saggio, la nuova innocenza. Di madre catalana-cattolica e padre indiano-indù, Raimon Panikkar è l’esempio concreto di come può essere fecondo l’incontro tra oriente e occidente. Ha vissuto in India, Europa, America. Io lo definirei semplicemente una grande anima. E’ morto il 26 agosto del 2010, pochi mesi prima di compiere 92 anni.


Dopo aver visto e rivisto il documentario, questi i concetti che più mi hanno colpito .

Interconnessione tra divino, umano e cosmico.Questa è a vita.

Ogni decisione è una scissione, un taglio.

Rimanere disponibili, aperti allo spirito. Disponibili alla chiamata. Se un uomo pesa meno, viaggia come una foglia.


Ideale di perfezione.

Il dialogo è “costitutivo” dell’essere. Sì al dialogo, no al monologo. Solitudine sì, isolamento no. Gli altri sono parte di noi. L’eresia di oggi è l’individualismo.

L’uomo è una persona, non un individuo.

Il dialogo non è un lusso, è essenziale.

Il dialogo religioso è un dialogo in profondità. Le religioni hanno voluto prendere il monopolio: “Il mio Dio è meglio del tuo”. Ma non esiste dialogo in questo modo.

“Ho bisogno di te per conoscermi”,il dialogo è un arricchimento reciproco. Cooperazione per realizzarci a vicenda. Non ho mai pensato di rinunciare alla mia identità cattolica. Ho studiato i Veda, ho fatto pellegrinaggi.


Induismo, non ha nome, non ha essenza, ha un’esistenza. Sono pratiche. Un materialista, un ateo può essere induista.

Religione: mi relaziono con gli altri, con il mondo intero, con il cosmo. Parte dell’avventura cosmica.

Dio, sconosciuto, indecifrabile. Senza catene. Ti sostiene e ti lascia libero.

Religioni: progetto di salvezza, libertà, pace, verità ecc. Sono progetti di salvezza. Cosa posso fare per raggiungere la vita eterna?, chiese un seguace ad Ananda Moy Ma. ”Lascia tutto e seguimi,”, rispose la mistica indiana.

Fede: apertura esistenziale a tutto. L’atto di fede ti salva. Gesù disse: “La tua fede ti ha salvato”. Sei aperto e ti lasci fecondare. La Fede non è una credenza. Con la testa cerco di esprimere la mia fede, con il mio linguaggio. Alcune credenze hanno radici, tradizioni. Non è fede in qualcosa, altrimenti è idolatria. La fede non ha oggetto.