giovedì 14 aprile 2011

Il dovere della chiarezza

Non ho accettato la proposta del monaco buddhista, di condividere una parte del viaggio insieme, e tanto meno l’avrei accettata da un turista qualsiasi. Viaggio sempre da sola e, pertanto, seguo delle elementari regole di prudenza. Non giro di notte e non frequento locali notturni che, d’altra parte, non mi interessano; mi fido soltanto delle persone che conosco o che mi ispirano fiducia; per spostarmi e per visitare musei e templi utilizzo il taxi.


Se avessi fatto la scelta di diventare monaca a vent’anni e poi, a quaranta, avessi scoperto che per me quella scelta era troppo pesante, che altre esperienze premevano, c’erano soltanto due possibilità: tentare di sublimare il desiderio sessuale concentrandomi sulla preghiera e sulla meditazione - perché anche per i monaci buddhisti ci sono i voti di castità, povertà, umiltà - oppure lasciare l’abito ocra ed entrare nella vita, con tutti i rischi che questo comporta.


Non riesco a concepire che un sacerdote si faccia trovare in una casa squillo insieme a due prostitute, come è accaduto molti anni fa a Roma, perché era un habitué. È come per tanti matrimoni. Non si sfasciano per opportunismo. Se questo sacerdote non fosse stato scoperto in quella casa squillo dai carabinieri, che hanno fatto rapporto al Vicariato, nessuno ne avrebbe mai saputo niente, tranne forse il suo confessore, al quale lui avrebbe continuato a dire per chissà quanto tempo: “Padre, ho peccato con una donna!”, forse senza aggiungere “prostituta” e forse omettendo il particolare che lo faceva abitualmente con due donne contemporaneamente.

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