sabato 29 gennaio 2011

La Chiesa e il divorzio

Sono trascorsi secoli, sono mutati profondamente abitudini, costumi; è mutata la morale comune. Tutto cambia, tutto scorre ma su tutto ciò che riguarda la sessualità, il matrimonio, l’aborto, il divorzio, non cambia la posizione del Vaticano. I nostri tempi sono così diversi dal passato da far sembrare i vari pontefici fuori dalla storia, anacronistici? Certo, le posizioni del Papa e dei vescovi, in merito alla sessualità, sono lontanissime da quelle degli integralisti islamici, che condannano alla lapidazione una donna soltanto perché sospettata di adulterio. O quelle dei fanatici integralisti, capaci di uccidere una giovane, soltanto perché veste secondo la moda occidentale o perché scrive libri o parla in televisione di diritti e libertà. L’integralismo si nutre di violenza e la violenza genera morte. Se Dio è amore, qualunque sia la Chiesa che lo adora, non può essere un Dio di morte!


Per quanto riguarda il profilattico c’è stata recentemente una piccola apertura da parte di Benedetto XVI, subito ridimensionata: la colpa, come al solito, è stata dei cattivi traduttori e dei giornalisti. La rottura di una coppia - sposata o non in Chiesa- è sempre un fatto negativo che provoca dolore, rivendicazioni, sofferenza dei figli , ma se non c’è più amore è soltanto un vuoto artificio sociale. In tutti i tempi la Chiesa ha previsto per i ricchi, che potevano permetterselo, una facile soluzione: la Sacra Rota. Il tribunale ecclesiastico può sciogliere il vincolo del matrimonio quando non è stato consumato, se uno dei due partner ammette che non vuole avere figli, se si scopre successivamente che è omosessuale e lo ha nascosto alla moglie, se il marito è impotente. Questi alcuni casi, ed è facile capire come è possibile costruire prove per ottenere la sentenza di nullità.


Il decreto della Sacra Rota, che annulla il matrimonio religioso, non prevede però la tutela del partner più debole e, quindi, non prevede gli alimenti, l’assegnazione della casa ecc., a differenza del divorzio. Per quanto riguarda il matrimonio organizzato tra due case regnanti, come si usava fare un tempo per ragioni di stato, anche in questo caso si parla di un decreto di nullità: il matrimonio non è mai esistito, perché mancavano le condizioni per un matrimonio sacramentale. Contro gli “ annullamenti facili” si è espresso recentemente Papa Benedetto XVI, che ha richiamato i giudici della Sacra Rota a una maggiore severità.

martedì 25 gennaio 2011

Le istituzioni religiose

La società cambia con il tempo e con il tempo dovrebbe cambiare in parte anche la Chiesa cattolica. Non si può continuare a imporre ai fedeli dogmi, regole e restrizioni che andavano bene duemila anni fa o mille anni fa. La vera libertà è quella al di fuori di ogni istituzione; è quando si segue la propria coscienza. L’etica è legata alla libertà interiore. L’istituzione è sempre restrittiva e costrittiva. Le Chiese si sono sporcate con il potere temporale e ora non vogliono rinunciare a questo potere sulle anime. Rudolf Steiner, giustamente, considera le Chiese e le religioni come relitti del passato. È soltanto quando si attenua la coscienza che nascono le religioni. L’umanità è stata condotta per mano per millenni, ora può camminare da sola. Le Chiese oggi possono essere un ostacolo all’evoluzione dell’uomo.



Se il contatto è tra il proprio cuore e il cuore di Dio, a cosa serve l’istituzione? Preti e monaci devono sottostare alle regole del loro ordine. Quando si è costretti a seguire un’istituzione, delle gerarchie, dei dogmi, pur dilaniati dai dubbi, non si è liberi. Ci si sente liberi quando si può seguire interamente e solamente la propria coscienza: la saggezza intuitiva che nasce dalla meditazione, dal contatto diretto dell’anima con Dio. Quanti preti o monaci sono stati ridotti allo stato laicale, perché venti anni fa avevano previsto quello che poi la Chiesa ha modificato oggi? La Chiesa li ha espulsi perché non obbedivano rigidamente alle regole.


Il potere maschile domina la società e le istituzioni religiose, ma le lotte femminili hanno messo in discussione questa supremazia, almeno in occidente. San Paolo scriveva: “La donna impari in silenzio con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo, piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo”. Quale moderna società occidentale può accettare una simile autoritaria e sessista disposizione! Per fortuna, in altre comunità religiose si è già arrivati a ordinare le donne- sacerdotesse. Nell’antichità erano proprio le donne a occuparsi del culto e dei templi.


venerdì 7 gennaio 2011

Monsignor Oscar Romero



Monsignor Oscar Romero, assassinato sull’altare dagli squadroni della morte nel 1980, non aderì mai ufficialmente alla Teologia della Liberazione, si dichiarò sempre fedele alla Santa Sede. Ma le sue scelte pastorali e le sue omelie, diffuse via radio, e pertanto ascoltate in tutte il paese, molto dure nei confronti della feroce giunta militare salvadoregna, gli inimicarono sia gli altri prelati della Chiesa che il governo locale . Denunciò la violenza della dittatura, la violazione dei diritti umani, l’uccisione dei campesinos; condannò le ingiustizie, le torture, i massacri, i desaparecidos. E per coerenza non presenziò mai alle cerimonie dove era presente la giunta militare. Scrisse anche all’allora presidente degli Stati Uniti Carter ,perché non finanziasse più la giunta militare. Per questo fu considerato, a torto, vicino ai marxisti e osteggiato dalla maggior parte dei vescovi latino americani, decisamente più conservatori.

Monsignor Romero venne due volte a Roma. Dal colloquio con Paolo VI ne uscì confortato. Più problematico fu l’incontro con Giovanni Paolo II, che gli consigliò prudenza e collaborazione con la giunta militare. Monsignor Romero non si sentì compreso, o forse non riuscì a spiegare al Papa la gravita della situazione nel suo paese. Incontrò un’altra volta Giovanni Paolo II e questa volta, come riferirono i suoi collaboratori, si sentì finalmente in sintonia con il pontefice. Quando la situazione nel paese precipitò , e dopo che era stato minacciato di morte sia dalla destra che dalla sinistra, il Vaticano propose a Romero di rifugiarsi a Roma, ma l’arcivescovo di San Salvador rifiutò, preferendo rimanere tra la sua gente.

Romero, definito “ la voce di chi non ha voce”, viveva in prima persona gli insegnamenti di Cristo. Affermava che la pace non può esistere senza giustizia sociale e che tutti gli uomini devono avere le stesse opportunità. Ribadiva che la forza della religione sta nell’amore. Parole rivoluzionarie! Venerato dal suo popolo, oggi considerato santo, fu ucciso da un cecchino rimasto impunito, il 24 marzo del 1980, a 62 anni, mentre celebrava la Messa. Sull’altare si preparava all’offertorio, cadde sul pavimento e le ostie si macchiarono del suo sangue. Le parole di Monsignor Romero, durante l‘ultima omelia, furono: “Vi supplico, vi chiedo, vi ordino, che in nome di Dio cessi la repressione.” 240 mila persone seguirono il suo funerale. Lo scoppio di una bomba carta, l’intervento dei militari, il panico, provocò un massacro. Un tragico destino.

Nel 1983, Giovanni Paolo II si recò in Salvador e, nonostante la contrarietà del governo salvadoregno, ruppe il protocollo, si fece aprire la cattedrale e si inginocchiò davanti alla tomba di Monsignor Romero. Per i presenti fu un momento di grande commozione. Il Papa pronunciò più volte:”E’ nostro”. In quel momento la Chiesa si riappropiava del suo vescovo, e metteva a tacere i tentativi della sinistra di impossessarsi del suo nome. Nel Giubileo del 2000 Papa Wojtyla lo inserì tra i nuovi martiri. La beatificazione doveva avere un iter rapido, visto il suo martirio sull’altare ma, come al solito, la diplomazia, il prevalere dell’opportunità politica, forse le gelosie dei conservatori della Curia romana, ne hanno ritardato l’evento. Questa è la Chiesa di Roma, che non riconosce nemmeno i suoi santi! Ci voleva il Papa venuto dall'altra parte del mondo, Papa Francesco Bergoglio, per accelerare l'iter della beatificazione che si terrà il 23 maggio 2015 a San Salvador.

La teologia della liberazione

Può un monaco o un sacerdote seguire la sua vocazione spirituale e pastorale e impegnarsi politicamente a favore dei più deboli? Sì, se consideriamo l’esperienza dei promotori della Teologia della Liberazione, nata in America Latina negli anni settanta. I principali esponenti furono Gustavo Guitierrez,peruviano, e i brasiliani Helder Camara e Leonardo Boff. Nel 1984 Leonardo Boff, a causa delle sue idee “rivoluzionarie” come - la povertà non è uno stato naturale -, subì in Vaticano un processo, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, allora presieduta da Ratzinger, poi diventato Papa Benedetto XVI. Boff, dopo anni di scontri con la gerarchia vaticana, nel 1992 abbandonò l’ordine dei francescani e proseguì il suo lavoro a favore dei poveri come teologo laico.


Durante il suo viaggio in Nicaragua, Giovanni Paolo II , incontrò Ernesto Cardenal, monaco, allora ministro del governo sandinista, e lo rimproverò, sia pure bonariamente. Giovanni Paolo II, in seguito, riconobbe che il ruolo svolto da questi sacerdoti ribelli era buono, utile e necessario per riscattare i poveri.


I seguaci della teologia della liberazione, che divennero negli anni sempre più numerosi, affermavano che bisognava imparare a guardare il mondo con gli occhi dei poveri. Indubbiamente, la loro attività fu una sfida continua alle gerarchie vaticane. Fu una inedita fusione tra marxismo e misticismo ma, soprattutto, una risposta chiara e forte alle dittature feroci dell’America Latina. Per difendersi dalle accuse di aver abbandonato la missione cristiana e di aver intrapreso un cammino politico di sinistra, i sacerdoti rispondevano con ironia : Se diamo da mangiare ai poveri ci chiamano santi, se chiediamo perché i poveri non hanno cibo allora ci chiamano comunisti.


I teologi della liberazione volevano dimostrare che si può vivere in concreto la cristianità e nello stesso tempo difendere i diseredati della terra. Leonardo Boff scrisse: “ Il potere è la tentazione più grande per l’essere umano, perché ci dà la sensazione dell’onnipotenza divina. È pura forza. Ed essendo solo forza è distruttivo. Solo la compassione limita il potere facendo sì che sia benefico. Compassione e forza sono le due dimensioni fondamentali che costruiscono l’essere umano ben realizzato.”

lunedì 3 gennaio 2011

Il prete operaio

Le istituzioni, in genere, amano il potere. La Chiesa cattolica, nel passato ma ancora oggi, è vicina a chi comanda, anche se per fortuna ci sono lodevoli eccezioni. In America Latina le gerarchie ecclesiastiche sono state quasi sempre dalla parte della dittatura, mentre il monaco e il prete si sono schierati con gli oppressi. In Italia, per decenni, durante la messa domenicale i parroci davano indicazioni precise per chi votare. E questa abitudine, purtroppo, non è cambiata molto.


Coloro che decidono di entrare nei palazzi del potere, anche se religiosi, dovrebbero rappresentare gli interessi del popolo. Un prete può dare un suo contributo spirituale, umano, culturale perché si governi in modo giusto e pulito tutelando gli interessi dei più deboli. Nel terzo millennio non si può continuare a discutere se un monaco debba stare nell’eremo o può impegnarsi nella vita. Per modificare questa società violenta c’è bisogno di tutti. Non si può scegliere l’isolamento, in nome di una via individuale alla spiritualità, mentre nel mondo c’è sofferenza. Può sembrare una scelta egoistica. Così non capisco la rigidità dei monaci che vivono sul Monte Athos dove le donne non possono nemmeno avvicinarsi.


Amo la figura del bodhisattva che sceglie di tornare sulla terra, unicamente per aiutare gli altri a progredire spiritualmente: la via dell’amore per il prossimo. Ha senso chiudersi in se stessi? Nella mia vita, a volte, anch’io ho sentito il desiderio di fuggire, di isolarmi per non soffrire e per non veder soffrire. Un convento, un ashram, sono pur sempre zone protette dai mali del mondo; ma spesso, il soffio della vita entra inaspettatamente tra le fessure delle porte e gela il cuore.